Verso il Rinascimento maturo
I lavori di costruzione proseguono con il cardinale Marco Barbo: il palazzo diventa una delle meraviglie di Roma, visitata da turisti e diplomatici, artisti e letterati
Alla morte di Paolo II, nel 1471, il grande cantiere del palazzo era ancora lungi dall’essere concluso. Il compito di proseguire i lavori toccò a suo nipote, il cardinale Marco Barbo (1420-1491), il quale del resto già quattro anni prima aveva assunto la titolarità della Basilica di San Marco. Gli stemmi di Barbo jr, che risiedeva nell’appartamento a pianta trapezoidale posto all’interno del viridarium, possono ancor oggi ammirarsi in molte zone dell’edificio.
Alla sua committenza gli studi più recenti riconducono, tra l’altro, il secondo ordine della facciata di San Marco con la Loggia delle Benedizioni, la torretta sopra la sagrestia o altana , la definizione del confine occidentale del complesso con la costruzione di un corridoio merlato lungo via degli Astalli, il portico del cortile e alcune decorazioni pittoriche, compreso il fregio con Le fatiche di Ercole.
La scomparsa del cardinale Marco chiuse nel palazzo l’epoca dei Barbo. Il testimone passò a Lorenzo Mari Cibo (c. 1450-1503). Lorenzo era nato dalla relazione extraconiugale che il nobiluomo genovese Domenico Mari aveva avuto con una donna spagnola: il secondo cognome gli venne conferito da Giovanni Battista Cibo che, una volta divenuto papa come Innocenzo VIII (1484-1498), ne favorì la carriera ecclesiastica, tra l’altro nominandolo nel marzo 1491 titolare della Basilica di San Marco.
Trasferitosi nel palazzo, il cardinale Lorenzo fece completare la Sala del Mappamondo e realizzare l’appartamento lungo via del Plebiscito, che ancor oggi porta il suo nome. Sempre al cardinale si deve la sistemazione della Madama Lucrezia, un colossale busto di epoca classica proveniente dall’Iseum Campense. Madama Lucrezia fu insieme a Pasquino una delle celebri ‘statue parlanti’ di Roma: ancor oggi è possibile ammirarla a sinistra dell’ingresso meridionale del palazzo, nella piazzetta di San Marco.
Già allo scadere del quindicesimo secolo il palazzo era divenuto uno degli edifici più belli e importanti di Roma, in grado di calamitare viaggiatori, letterati e artisti. Al tempo del cardinale Mari Cibo si colloca la presenza del pittore bolognese Amico Aspertini (1474-1552), fra il 1496 e il 1498 in città per un viaggio di formazione. L’artista nutriva una straordinaria passione per i rilievi classici, che era solito copiare a disegno. Nella circostanza egli rimase attratto da un bassorilievo raffigurante un antico sacrificio, che allora si trovava all’interno del viridarium: il suo disegno, oggi conservato nel British Museum di Londra, reca a margine la didascalia “in lo g[i]ardino de sancto marco”.
Primogenito del futuro doge Antonio Grimani (1434-1523), Domenico (1461-1524) intraprese una brillante carriera ecclesiastica, che culminò con la nomina a cardinale, ottenuta dalle mani di papa Alessandro VI Borgia (1492-1503) in cambio della somma, davvero rimarchevole, di 30.000 ducati. Laureato all’Università di Padova e forte di un’ottima formazione culturale, Grimani fu uno dei letterati più eminenti della propria epoca. Il suo ingresso nel palazzo risale al 1503, in uno con la nomina a cardinale titolare della Basilica di San Marco. I vent’anni successivi corrisposero a un ulteriore balzo in avanti dell’edificio nel campo delle lettere e delle arti.
Il cardinale Domenico Grimani si distinse anche nell’ambito del collezionismo di libri, di oggetti d’arte e d’antichità. La biblioteca, che già contava su alcune migliaia di volumi, si arricchì nel 1498 dei 15.000 comprati dagli eredi dell’umanista Pico della Mirandola (1463-1494). Fecero inoltre parte della sua raccolta quadri di straordinario valore, attribuiti ad artisti come Hieronymus Bosch, Giorgione e Raffaello.
Come ricordano le fonti, incluso Francesco Albertini, una parte cospicua della collezione era ospitata nel palazzo romano di San Marco, salvo poi migrare per testamento nell’amatissima Repubblica di Venezia. Le cose andarono forse in questo modo con il cosiddetto Breviario Grimani, un codice miniato fiammingo del secondo decennio del sedicesimo secolo oggi nella Biblioteca Marciana. Quanto alla preziosa raccolta di reperti classici, essa avrebbe rappresentato il nucleo fondante del Museo Archeologico Nazionale di Venezia.
La personalità di Grimani e la sua spettacolare raccolta contribuirono a dare lustro al palazzo, che continuò a catturare l’interesse dei principali visitatori in città. Il 5 maggio 1505 – si legge nei Diarii dello storico veneziano Marin Sanudo – il cardinale vi ricevette gli ambasciatori della Serenissima. Nel percorrere le varie stanze, gli ospiti rimasero strabiliati dallo studio adiacente alla sua camera ricolmo di libri e di sculture di età classica: parecchie erano venute alla luce nel corso dei lavori di scavo che il prelato aveva compiuto per edificare la propria villa alle pendici di Monte Cavallo, successivamente incorporata nel perimetro degli attuali giardini e palazzo del Quirinale.
Quattro anni più tardi fu la volta di Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536). L’umanista olandese si trovava al termine del suo soggiorno nella Penisola, iniziato nel 1506 e trascorso per lo più a Torino, Bologna e Venezia. Fra i motivi che lo avevano guidato in Italia vi era il desiderio di perfezionare la conoscenza delle lingue classiche e di acquistarvi libri e manoscritti. Giunto a Roma nei primi del 1509, Erasmo si recò in visita al palazzo di San Marco, forse in compagnia di Pietro Bembo (1470-1547): egli poté ammirarvi la collezione e soprattutto la biblioteca del cardinale Grimani, su cui avrebbe poi tessuto parole di ammirazione.