Finalmente il Regno d’Italia
Nel corso del primo conflitto mondiale il palazzo passa al Regno d’Italia. Si apre allora un nuovo capitolo, nel segno del museo
Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò nella Prima guerra mondiale, schierandosi a fianco dell’Inghilterra e della Francia contro la Germania e l’Austria. Sebbene distante parecchie centinaia di chilometri dal fronte, anche Palazzo Venezia diventò a suo modo un luogo di contesa. Fino allora l’Impero aveva mantenuto due distinte ambasciate su Roma. Quella in Palazzo Chigi, al tempo preso in affitto dagli stessi principi, serviva per il Regno d’Italia ed era stata chiusa all’indomani della dichiarazione di guerra. La seconda a Palazzo Venezia ospitava l’ambasciata presso la Santa Sede e, appunto come tale, continuò a rimanere in funzione per altri diciotto mesi.
Nell’agosto del 1916, con il montare della frustrazione per gli esiti del conflitto e della rabbia per il bombardamento austriaco della Serenissima, il Governo italiano decise di requisire l’edificio al nemico. Il passaggio di consegne avvenne il primo novembre dello stesso anno. Si trattò di un mero atto burocratico: alle 14.00 in punto, come convenuto, il Ministro delle Finanze Filippo Meda, accompagnato da un notaio e due funzionari, bussò al portone del palazzo, per ritirarne “senza opposizione le chiavi”.
L’esproprio di Palazzo Venezia rappresentò anche un caso diplomatico, non tanto con il nemico austriaco, quanto con il Vaticano, che naturalmente rivendicava i diritti di quest’ambasciata. Allo scopo di stemperare i toni della polemica fin dal 15 ottobre, ovvero ancor prima del passaggio di consegne, il Governo italiano pubblicò un decreto che destinava l’edificio a sede museale.
Il nome ufficiale, Museo del Palazzo di Venezia, si deve allo storico dell’arte Corrado Ricci (1858-1934), all’epoca a capo della Direzione Generale Antichità e Belle Arti. Ricci nutriva grande fiducia per il futuro del nuovo istituto: “Quello che per noi deve trionfare – scrisse al Ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini – è il nome di Palazzo Venezia e il pubblico dovrà dire ‘Andiamo al Palazzo di Venezia’ così come dice ‘Andiamo al Louvre…’”.
Ospitato in Palazzo Venezia, unanimemente giudicato una delle più limpide e maestose espressioni del Rinascimento italiano, il museo nacque fra grandi aspettative. In linea con il contenitore, sorse allora l’idea di farne il Museo del Medioevo e del Rinascimento. La carica di primo direttore cadde sulle spalle dello storico dell’arte Federico Hermanin (1868-1953), in qualità di soprintendente alle Gallerie e ai Musei del Lazio e degli Abruzzi.
Già l’anno successivo, il 1917, Hermanin, coadiuvato da Corrado Ricci, fu in grado di elaborare un progetto di allestimento, secondo cui il museo avrebbe dovuto assumere le fattezze di una nobile dimora del sedicesimo secolo.
Le condizioni del palazzo apparivano a quel punto critiche. Nel corso dei secoli parecchi ambienti avevano subito manomissioni profonde, che ne avevano compromesso le strutture e la spazialità originarie. Si pensi che la Sala del Mappamondo e la Sala Regia oltre ad essere state frammentate in vari ambienti, risultavano semplicemente prive di soffitti e di pavimenti. Hermanin svolse un lavoro notevole. Abbattuti i tramezzi, il direttore condusse le prime ricerche sulle antiche pareti: ne emersero lacerti di affreschi del quindicesimo e sedicesimo secolo, ch’egli attribuì rispettivamente a Mantegna e a Bramante.
Contestualmente nei depositi e nelle sale espositive degli altri musei capitolini si procedeva alla selezione delle opere da far confluire a Palazzo Venezia. Oltre che verso Castel Sant’Angelo, Hermanin guardò verso la Galleria Nazionale d’Arte Antica, al tempo situata in Palazzo Corsini: la sua attenzione cadde sui pezzi provenienti dal Monte di Pietà e su quelli lasciati da Henrietta Hertz (1846-1913) alla sua morte nel 1913.
Il progetto del museo prendeva dunque forma, sia pure fra difficoltà crescenti. La principale va ricercata nei rovesci subiti dall’esercito italiano nell’estate-autunno del 1917. Nelle settimane successive alla disfatta di Caporetto, avvenuta il 24 ottobre, l’edificio assunse il ruolo di ricovero d’emergenza per opere d’arte che provenivano dalle città maggiormente esposte alle truppe austriache, a cominciare da Venezia. Di qui la presenza temporanea nel palazzo di capolavori trasferiti in fretta e furia dalla Serenissima, come la quadriga bronzea di San Marco e il Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Verrocchio, attestata da fotografie d’epoca.
La situazione virò decisamente di segno nell’autunno del 1918 con il trionfo di Vittorio Veneto e con la successiva resa dell’Impero Austro-Ungarico. In questa nuova e diversa dimensione Palazzo Venezia, a suo tempo sottratto a Vienna, divenne uno dei simboli del tricolore vittorioso. Il museo al suo interno viaggiò sulle ali di questo entusiasmo patriottico. Nel 1919 il direttore Federico Hermanin ne offrì un’anticipazione, allestendo in alcune sale dell’Appartamento Cibo una scelta delle opere confluite nelle raccolte. L’obiettivo era persuadere i cittadini che “il glorioso Palazzo è destinato ad accogliere un museo di pittura, scultura e arti minori”.
Nel giugno del 1921 l’appoggio di Benedetto Croce (1866-1952), allora Ministro dell’Istruzione, consentì l’apertura delle prime sale del museo, ubicate all’interno dell’Appartamento Barbo. Quell’allestimento ebbe tuttavia vita breve. Trascorso appena un anno, Hermanin fu costretto a sgomberare le Sale Barbo per fare posto alla mostra delle opere che l’Austria aveva dovuto restituire all’Italia. La mostra, contrassegnata dai toni di un nazionalismo sempre più accentuato, aprì i battenti nel dicembre 1922: con un allestimento disegnato da Armando Brasini (1879-1965), essa annoverò tra gli spettatori entusiasti Benito Mussolini (1883-1945), che da qualche settimana aveva preso in mano le redini del Governo.