Finalmente il Regno d’Italia

Nel corso del primo conflitto mondiale il palazzo passa al Regno d’Italia. Si apre allora un nuovo capitolo, nel segno del museo

Preda di Guerra

Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò nella Prima guerra mondiale, schierandosi a fianco dell’Inghilterra e della Francia contro la Germania e l’Austria. Sebbene distante parecchie centinaia di chilometri dal fronte, anche Palazzo Venezia diventò a suo modo un luogo di contesa. Fino allora l’Impero aveva mantenuto due distinte ambasciate su Roma. Quella in Palazzo Chigi, al tempo preso in affitto dagli stessi principi, serviva per il Regno d’Italia ed era stata chiusa all’indomani della dichiarazione di guerra. La seconda a Palazzo Venezia ospitava l’ambasciata presso la Santa Sede e, appunto come tale, continuò a rimanere in funzione per altri diciotto mesi. 

Portone del palazzo di Venezia su via del Plebiscito, da cui sono visibili i primi gradini della scala realizzata dall'architetto dell'ambasciata austriaca Camillo Pistrucci nel 1911

Portone del palazzo di Venezia su via del Plebiscito, da cui sono visibili i primi gradini della scala realizzata dall'architetto dell'ambasciata austriaca Camillo Pistrucci nel 1911

Nell’agosto del 1916, con il montare della frustrazione per gli esiti del conflitto e della rabbia per il bombardamento austriaco della Serenissima, il Governo italiano decise di requisire l’edificio al nemico. Il passaggio di consegne avvenne il primo novembre dello stesso anno. Si trattò di un mero atto burocratico: alle 14.00 in punto, come convenuto, il Ministro delle Finanze Filippo Meda, accompagnato da un notaio e due funzionari, bussò al portone del palazzo, per ritirarne “senza opposizione le chiavi”.

Decreto Luogotenenziale del 25 agosto 1916, n. 1002 (G.U. 29 agosto, n. 203), con il quale il palazzo di Venezia in Roma entra a far parte del patrimonio dello Stato italiano

Decreto Luogotenenziale del 25 agosto 1916, n. 1002 (G.U. 29 agosto, n. 203), con il quale il palazzo di Venezia in Roma entra a far parte del patrimonio dello Stato italiano

La nascita del museo…

L’esproprio di Palazzo Venezia rappresentò anche un caso diplomatico, non tanto con il nemico austriaco, quanto con il Vaticano, che naturalmente rivendicava i diritti di quest’ambasciata. Allo scopo di stemperare i toni della polemica fin dal 15 ottobre, ovvero ancor prima del passaggio di consegne, il Governo italiano pubblicò un decreto che destinava l’edificio a sede museale.

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Carta intestata del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, disegnata da Duilio Cambellotti in una xilografia del 1920 circa

Carta intestata del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, disegnata da Duilio Cambellotti in una xilografia del 1920 circa

Palazzo Venezia. Prontuario delle stoffe esistenti al magazzino dell'amministrazione, conservato presso l'Archivio Storico del Museo del Palazzo di Venezia

Palazzo Venezia. Prontuario delle stoffe esistenti al magazzino dell'amministrazione, conservato presso l'Archivio Storico del Museo del Palazzo di Venezia

Finalmente il Regno d’Italia

Il nome ufficiale, Museo del Palazzo di Venezia, si deve allo storico dell’arte Corrado Ricci (1858-1934), all’epoca a capo della Direzione Generale Antichità e Belle Arti. Ricci nutriva grande fiducia per il futuro del nuovo istituto: “Quello che per noi deve trionfare – scrisse al Ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini – è il nome di Palazzo Venezia e il pubblico dovrà dire ‘Andiamo al Palazzo di Venezia’ così come dice ‘Andiamo al Louvre…’”.

Corrado Ricci (al centro), il restauratore Luigi Canevaghi (a sinistra) e lo storico dell'arte Giovanni Poggi (a destra), mentre osservano la Gioconda alle Gallerie degli Uffizi a Firenze nel 1903

Corrado Ricci (al centro), il restauratore Luigi Canevaghi (a sinistra) e lo storico dell'arte Giovanni Poggi (a destra), mentre osservano la Gioconda alle Gallerie degli Uffizi a Firenze nel 1903

…e il suo primo direttore, Federico Hermanin

Ospitato in Palazzo Venezia, unanimemente giudicato una delle più limpide e maestose espressioni del Rinascimento italiano, il museo nacque fra grandi aspettative. In linea con il contenitore, sorse allora l’idea di farne il Museo del Medioevo e del Rinascimento. La carica di primo direttore cadde sulle spalle dello storico dell’arte Federico Hermanin (1868-1953), in qualità di soprintendente alle Gallerie e ai Musei del Lazio e degli Abruzzi.

Federico Hermanin nel suo studio di Palazzo Venezia nel 1920 circa

Federico Hermanin nel suo studio di Palazzo Venezia nel 1920 circa

Già l’anno successivo, il 1917, Hermanin, coadiuvato da Corrado Ricci, fu in grado di elaborare un progetto di allestimento, secondo cui il museo avrebbe dovuto assumere le fattezze di una nobile dimora del sedicesimo secolo. 

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Armadio contente l'archivio Hermanin, conservato presso l'Archivio Storico del Museo del Palazzo di Venezia

Armadio contente l'archivio Hermanin, conservato presso l'Archivio Storico del Museo del Palazzo di Venezia

Palazzo Venezia, a cura di Federico Hermanin, nell'illustrazione di Vittorio Grassi da L'Illustrazione Italiana, supplemento al n. 16 del 19 aprile 1931

Palazzo Venezia, a cura di Federico Hermanin, nell'illustrazione di Vittorio Grassi da L'Illustrazione Italiana, supplemento al n. 16 del 19 aprile 1931

Questioni di tutela

Le condizioni del palazzo apparivano a quel punto critiche. Nel corso dei secoli parecchi ambienti avevano subito manomissioni profonde, che ne avevano compromesso le strutture e la spazialità originarie. Si pensi che la Sala del Mappamondo e la Sala Regia oltre ad essere state frammentate in vari ambienti, risultavano semplicemente prive di soffitti e di pavimenti. Hermanin svolse un lavoro notevole. Abbattuti i tramezzi, il direttore condusse le prime ricerche sulle antiche pareti: ne emersero lacerti di affreschi del quindicesimo e sedicesimo secolo, ch’egli attribuì rispettivamente a Mantegna e a Bramante. 

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Sala del Mappamondo prima dei restauri, particolare di una parete con i resti degli affreschi quattrocenteschi, in un acquerello di Ada Levi del 1919

Sala del Mappamondo prima dei restauri, particolare di una parete con i resti degli affreschi quattrocenteschi, in un acquerello di Ada Levi del 1919

Sala del Mappamondo prima dei restauri, particolare di una parete con i resti degli affreschi quattrocenteschi e neoclassici, in un acquerello di Ada Levi del 1919

Sala del Mappamondo prima dei restauri, particolare di una parete con i resti degli affreschi quattrocenteschi e neoclassici, in un acquerello di Ada Levi del 1919

Sala del Mappamondo con la ricostruzione della decorazione originaria della parete con lo stemma di Innocenzo VIII, in un acquerello di Ada Levi del 1917-1920

Sala del Mappamondo con la ricostruzione della decorazione originaria della parete con lo stemma di Innocenzo VIII, in un acquerello di Ada Levi del 1917-1920

Sala del Mappamondo con il progetto di ripristino della decorazione originaria di una parete, in un acquerello di Alfredo Energici e Enrico Ruffini del 1917-1920

Sala del Mappamondo con il progetto di ripristino della decorazione originaria di una parete, in un acquerello di Alfredo Energici e Enrico Ruffini del 1917-1920

Contestualmente nei depositi e nelle sale espositive degli altri musei capitolini si procedeva alla selezione delle opere da far confluire a Palazzo Venezia. Oltre che verso Castel Sant’Angelo, Hermanin guardò verso la Galleria Nazionale d’Arte Antica, al tempo situata in Palazzo Corsini: la sua attenzione cadde sui pezzi provenienti dal Monte di Pietà e su quelli lasciati da Henrietta Hertz (1846-1913) alla sua morte nel 1913.

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Ritratto di Henrietta Hertz

Ritratto di Henrietta Hertz

Testa di Nike o detta anche Testa Hertz, conservata presso il Museo del Palazzo di Venezia

Testa di Nike o detta anche Testa Hertz, conservata presso il Museo del Palazzo di Venezia

Suonatrice di liuto in un dipinto di Andrea Solario, proveniente dalla donazione Hertz e già nel Museo del Palazzo di Venezia, oggi conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini

Suonatrice di liuto in un dipinto di Andrea Solario, proveniente dalla donazione Hertz e già nel Museo del Palazzo di Venezia, oggi conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini

Un ricovero per le opere d’arte

Il progetto del museo prendeva dunque forma, sia pure fra difficoltà crescenti. La principale va ricercata nei rovesci subiti dall’esercito italiano nell’estate-autunno del 1917. Nelle settimane successive alla disfatta di Caporetto, avvenuta il 24 ottobre, l’edificio assunse il ruolo di ricovero d’emergenza per opere d’arte che provenivano dalle città maggiormente esposte alle truppe austriache, a cominciare da Venezia. Di qui la presenza temporanea nel palazzo di capolavori trasferiti in fretta e furia dalla Serenissima, come la quadriga bronzea di San Marco e il Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Verrocchio, attestata da fotografie d’epoca.

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L'arrivo dei cavalli della quadriga di San Marco nel palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

L'arrivo dei cavalli della quadriga di San Marco nel palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

I cavalli della quadriga di San Marco nel cortile grande del palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

I cavalli della quadriga di San Marco nel cortile grande del palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

Il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Andrea Verrocchio nel palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

Il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Andrea Verrocchio nel palazzo di Venezia a Roma durante la Prima guerra mondiale

La mostra delle opere restituite dall’Austria

La situazione virò decisamente di segno nell’autunno del 1918 con il trionfo di Vittorio Veneto e con la successiva resa dell’Impero Austro-Ungarico. In questa nuova e diversa dimensione Palazzo Venezia, a suo tempo sottratto a Vienna, divenne uno dei simboli del tricolore vittorioso. Il museo al suo interno viaggiò sulle ali di questo entusiasmo patriottico. Nel 1919 il direttore Federico Hermanin ne offrì un’anticipazione, allestendo in alcune sale dell’Appartamento Cibo  una scelta delle opere confluite nelle raccolte. L’obiettivo era persuadere i cittadini che “il glorioso Palazzo è destinato ad accogliere un museo di pittura, scultura e arti minori”.

Allestimento del 1919 di Federico Hermanin in una delle sale del Palazzo di Venezia

Allestimento del 1919 di Federico Hermanin in una delle sale del Palazzo di Venezia

Nel giugno del 1921 l’appoggio di Benedetto Croce (1866-1952), allora Ministro dell’Istruzione, consentì l’apertura delle prime sale del museo, ubicate all’interno dell’Appartamento Barbo. Quell’allestimento ebbe tuttavia vita breve. Trascorso appena un anno, Hermanin fu costretto a sgomberare le Sale Barbo per fare posto alla mostra delle opere che l’Austria aveva dovuto restituire all’Italia. La mostra, contrassegnata dai toni di un nazionalismo sempre più accentuato, aprì i battenti nel dicembre 1922: con un allestimento disegnato da Armando Brasini (1879-1965), essa annoverò tra gli spettatori entusiasti Benito Mussolini (1883-1945), che da qualche settimana aveva preso in mano le redini del Governo.

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Veduta della sala delle Battaglie, già del Concistoro, con allestita nel 1922-1923 la mostra degli oggetti d'arte e di storia restituiti dall'Austria all'Italia dopo la Prima guerra mondiale

Veduta della sala delle Battaglie, già del Concistoro, con allestita nel 1922-1923 la mostra degli oggetti d'arte e di storia restituiti dall'Austria all'Italia dopo la Prima guerra mondiale

Sala delle Battaglie, già del Concistoro, con la nuova decorazione eseguita dal pittore Giovanni Costantini su progetto dell'architetto Armando Brasini nel 1928-1930

Sala delle Battaglie, già del Concistoro, con la nuova decorazione eseguita dal pittore Giovanni Costantini su progetto dell'architetto Armando Brasini nel 1928-1930