Madonna con il Bambino in trono e due angeli
Maestro della Pietà di Piedigrotta ? 1460-1475
La bella e ancora enigmatica tavola raffigura una Madonna in trono con il Bambino, inquadrata da una preziosa stoffa di broccato sorretta da due angeli. La compresenza di elementi provenienti dalla pittura flandro-iberica e franco-borgognona lascia supporre un’origine campana, forse da ascrivere a un ancora anonimo Maestro attivo a Napoli nella seconda metà del XV secolo con opere su tavola, noto per la Pietà realizzata nella chiesa di Santa Maria di Piedigrotta a Napoli su modello del Compianto di Petrus Christus oggi a Bruxelles.
La bella e ancora enigmatica tavola raffigura una Madonna in trono con il Bambino, inquadrata da una preziosa stoffa di broccato sorretta da due angeli. La compresenza di elementi provenienti dalla pittura flandro-iberica e franco-borgognona lascia supporre un’origine campana, forse da ascrivere a un ancora anonimo Maestro attivo a Napoli nella seconda metà del XV secolo con opere su tavola, noto per la Pietà realizzata nella chiesa di Santa Maria di Piedigrotta a Napoli su modello del Compianto di Petrus Christus oggi a Bruxelles.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
Una ieratica Madonna dallo sguardo pensieroso e mesto si mostra seduta su un semplice trono ligneo – privo di schienale e decorato nello spessore della seduta da tarsie lignee a mensole prospettiche – mentre tiene sulle ginocchia Cristo bambino. Lunghi capelli biondi, sciolti sulle spalle e appena celati da un delicato velo trasparente, inquadrano il volto della Vergine, coronato da un prezioso diadema in gesso rilevato con finti cabochons, a contrasto con il nimbo inciso a cerchi concentrici nella parte esterna e a razzature nell’interno. Un manto blu ceruleo, foderato di verde e bordato da lussuosi ricami con teoria di quadrilobi in oro e perle, cela parte della ricca veste in pelliccia damascata, adagiandosi con copiose pieghe sul pavimento decorato da una scacchiera di piastrelle in ceramica color vinaccia, nero e i tipici azulejos spagnoli. Un nimbo crucigero inquadra il volto del Bambino, il cui sguardo fisso e rassegnato prefigura la futura Passione. Lo confermano anche la scelta inusuale del perizoma e la peculiare posizione delle gambe. Le due figure gettano un’ombra sul prezioso broccato color porpora bordato di verde che fa da sfondo, sorretto ai margini superiori da due angeli e decorato da ampie foglie di cardo a sette lobi color pesca a contrasto con pigne nel nucleo centrale in oro a missione.
La prima menzione del dipinto, entrato in Palazzo Venezia dalla Collezione Sterbini dove era considerato opera di arte sarda del XV secolo, risale a Santangelo (1947), il quale ne rilevava la qualità altissima e ipotizzava piuttosto una provenienza valenzana o l’esecuzione da parte di "pittori valenzani operanti in Italia". Ricondotta da Zeri (1955) genericamente a "Scuola spagnola", la tavola è stata assegnata da Sricchia Santoro (1986) alla mano di un "bel pittore […] proveniente dall’area aragonese", aggiornato sul linguaggio di Piero della Francesca, da cui derivano le solide volumetrie delle figure e la luce chiara e tersa che la studiosa proponeva di identificare con la controversa figura del Maestro della Pietà di Piedigrotta, ricostruita da Causa (1953; Causa 1957; Causa 1960). Questo artista, che prende nome dall’opera conservata nella chiesa napoletana di Santa Maria di Piedigrotta e che è autore anche del cosiddetto trittico della Scorziata e dei santi Stefano, Sebastiano e Giorgio per la chiesa dei Santi Severino e Sossio, è stato invece riconosciuto da Bologna (1977) e da Navarro (1987) nel pittore toledano detto “Luna Master” individuato da Post (1933, IV, 2). Sricchia Santoro (2017) ha poi suggerito per l’opera romana il nome di Salvatore da Valenza, artista documentato (1455, 1456, 1458) a Roma durante il pontificato del valenzano Callisto III Borgia e ancora all’avvento di Pio II (Müntz 1878, I, pp. 204-206, 330; Longhi [1926] 1967; Bologna 1977), ma l’ipotesi è indimostrabile trattandosi di un nome a cui non è agganciata alcuna opera.
La consistenza lattiginosa del velo e il pallore candido delle carni, plasticamente scandite da una luce nitida e da forme stereometriche pure, come nel perfetto ovale della Vergine, evocano con forza la scuola provenzale, da Enguerrand Quarton a Josse Lieferinxe (ad esempio il Retablo Requin e la Santa Caterina del Musée du Petit Palais di Avignone; Labande 1932, I-II; Sterling 1983), persino nell’utilizzo di ampi drappi à ramages a fondale della composizione.
Al contempo, la presenza di decorazioni in gesso rilevato e la tipica pavimentazione ad azulejos hanno chiare origini spagnole (ad esempio il San Baudilio della parrocchiale di St. Boi de Llobregat di Luis Dalmau; Ruiz i Quesada 2006; l’Incoronazione di spine di Joan Reixach, Philadelphia Museum of Art; si vedano Domenech 2005; Domenech, Frechina 2009). In particolare, gli azulejos visibili in questa tavola rammentano quelli presenti nella celebre Consegna della regola francescana di Colantonio, il grande maestro che assorbì in maniera osmotica le suggestioni fiamminghe e franco-borgognone in circolazione a Napoli alla metà del secolo, e le trasmise ad Antonello da Messina.
L’attenzione lenticolare ai dettagli materiali più minuti delle stoffe, dei gioielli, persino dei riflessi nelle perle incastonate della cappa, sono sintomi di aggiornamento sulle novità fiamminghe, ben note in Francia (Barthelemy d’Eyck) e in Spagna sin dagli anni quaranta (ad esempio il trittico con la Madonna con il Bambino e la regina Maria di Castiglia, san Michele e san Girolamo dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte; Company i Clement 2006).
Affinità significative si riscontrano tra questo dipinto e altri dell’esiguo corpus del Maestro di Piedigrotta, caratterizzato da una miscela di tradizione provenzale, cultura pierfrancescana e attenzione materica di matrice fiamminga (si rimanda agli studi dottorali di Orazio Lovino). La costruzione stereometrica della testa della Vergine ricorda quelle della Madonna nella Pietà eponima e nel trittico della Scorziata, dove si ritrova l’identica soluzione del drappo rabescato al fondo della composizione e del trono privo di schienale. Ma particolarmente saliente è il confronto tra il Bambino e il san Sebastiano del trittico nella chiesa dei Santi Severino e Sossio: lo sguardo vacuo e i morbidi passaggi chiaroscurali dei due torsi nudi, appena accennati nella gracile muscolatura, prospettano una vicinanza temporale tra queste due opere. Ciò permette di collocare la tavola di Palazzo Venezia nel terzo quarto del Quattrocento, con grande probabilità a esordio di carriera.
La peculiare posa delle gambe del Cristo trova un simile precedente nella Madonna con il Bambino del Maestro di Nola (Parigi, Galleria Sarti; Caramico 2017; Zappasodi 2017) e, ancor prima, nel Bambino che tocca il piede sinistro (Shorr 1954, type 35), visibile in una tavola di Andrea de Aste in collezione privata (De Marchi 1991). L’esistenza di una Madonna con il Bambino in collezione privata, reputata possibile copia, sebbene semplificata, di un’opera di Antonello (Longhi 1953; Sricchia Santoro 2017), e che condivide molti aspetti della composizione di Palazzo Venezia, lascia supporre che alle spalle di entrambe ci sia uno schema diffuso in ambito meridionale, caratterizzato dalla presenza del pavimento scaccato, del drappo damascato a fondale della scena e, soprattutto, della particolare seduta lignea, preludio dei troni dell’Antonello maturo (ad esempio il polittico di San Gregorio di Messina, 1473).
Si ringraziano per i loro preziosi pareri Riccardo Naldi e Mauro Natale.
Mariaceleste Di Meo
Stato di conservazione
Discreto.
Provenienza
Roma, Collezione Giulio Sterbini;
Roma, Collezione Lupi;
Roma, dono di Giovanni Armenise, 15 luglio 1940;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1940.
Bibliografia
Müntz Eugène, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et le XVIe siècle, recueil de documents inédits tirés des archives et de bibliothéques romaines, I, Martin V-Pie II, Paris 1878, pp. 204-206, 330;
Labande Léon-Honoré, Les primitifs français, I-II, Marseille 1932;
Post Chandler Rathfon, A History of Spanish Painting, IV, 2, The Hispano-Flemish Style in North-Western Spain, Cambridge/Mass. 1933, pp. 371-380;
Santangelo Antonino (a cura di), Museo di Palazzo Venezia. Catalogo. 1. Dipinti, Roma 1947, pp. 3-44;
Longhi Roberto, Frammento siciliano, in «Paragone. Arte», 4, 1953, 47, pp. 3-44;
Causa, in Molajoli Bruno (a cura di), III Mostra di restauri, catalogo della mostra (Napoli, Museo di San Martino, 20 dicembre 1953-20 marzo 1954), Napoli 1953, pp. 8-9, n. 4, fig. 9;
Shorr Dorothy C., The Christ Child in Devotional Images in Italy During the XIV Century, New York 1954;
Zeri Federico (a cura di), Catalogo del Gabinetto Fotografico Nazionale. 3. I dipinti del museo di Palazzo Venezia in Roma, Roma 1955, p. 10, n. 145;
Causa Raffaello, Pittura napoletana dal XV al XIX secolo, Bergamo 1957;
Causa Raffaello, in IV Mostra di restauri, catalogo della mostra (Napoli, Palazzo Reale, 13 novembre-11 dicembre 1960), Napoli 1960, pp. 49-50, catt. 10-11;
Longhi Roberto, Primizie di Lorenzo da Viterbo (1926), in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, II, 1, Saggi e ricerche 1925-1928, Firenze 1967, pp. 53-61;
Bologna Ferdinando, Napoli e le rotte mediterranee della pittura: da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977, pp. 83, 91-94;
Sterling Charles, Enguerrand Quarton: le peintre de la Pietà d’Avignon, Paris 1983;
Sricchia Santoro Fiorella, Antonello e l’Europa, Milano 1986, pp. 67-68, 79, nota 13, fig. 49;
Navarro Fausta, Maestro della Pietà di Piedigrotta, in Zeri Federico (a cura di), La Pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, p. 679;
De Marchi Andrea, Andrea de Aste e la pittura tra Genova e Napoli all’inizio del Quattrocento, in «Bollettino d’arte», 76, 1991, 68/69, pp. 113-130;
Domenech Fernando Benito (a cura di), La memoria recobrada: pintura valenciana recuperada de los siglos XIV-XVI, catalogo della mostra (Valencia, Museo de Bellas Artes, 27 ottobre 2005-8 gennaio 2006; Salamanca, Sala de exposiciones Caja Duero, 9 febbraio-19 marzo 2006), Valencia 2005;
Company i Clement Ximo, La edad dorada de la pintura valenciana (s. XV), in Belenguer Ernest, Garín Felipe (a cura di), La corona de Aragón: siglo XII-XVIII, Madrid 2006, pp. 403- 453;
Ruiz i Quesada Francesc, Lluís Dalmau, in L’art gòtic a Catalunya, VI, Darreres manifestacions, Barcelona 2006, pp. 56-59;
Domenech Fernando Benito, Frechina José Gómez (a cura di), La edad de oro del arte valenciano, remomeración de un centenario, catalogo della mostra (Valencia, Museo de Bellas Artes, 1 febbraio-27 aprile 2009), Valencia 2009;
Caramico Virginia, La pittura a Napoli e in Campania al tempo di Ladislao e Giovanna Durazzo, in Zappasodi Emanuele (a cura di), Il Maestro di Nola, un vertice impareggiabile del tardogotico a Napoli e in Campania, Firenze 2017, pp. 47-63;
Sricchia Santoro Fiorella, Antonello, i suoi mondi, il suo seguito, Firenze 2017, pp. 103, 129, fig. 36, 142, nota 5, fig. 4;
Zappasodi Emanuele, La “Madonna del latte”, un capolavoro del Maestro di Nola, in Zappasodi Emanuele (a cura di), Il Maestro di Nola, un vertice impareggiabile del tardogotico a Napoli e in Campania, Firenze 2017, pp. 9-45.