Crocifissione tra i due dolenti e la Maddalena
Pseudo Stefano da Ferrara 1425-1430
La tavola rappresenta la Crocifissione nel panorama roccioso del Golgota, includendo le sole figure della Maddalena ai piedi della croce e della Vergine e di san Giovanni ai lati, vistosamente commossi dal dramma della morte di Cristo. L’anonimo artista definito dalla critica Pseudo Stefano da Ferrara, attivo durante la prima metà del XV secolo nell'Italia padana, fu principalmente un pittore di affreschi e tavole per la devozione privata, come è il caso di questa di modeste dimensioni.
La tavola rappresenta la Crocifissione nel panorama roccioso del Golgota, includendo le sole figure della Maddalena ai piedi della croce e della Vergine e di san Giovanni ai lati, vistosamente commossi dal dramma della morte di Cristo. L’anonimo artista definito dalla critica Pseudo Stefano da Ferrara, attivo durante la prima metà del XV secolo nell'Italia padana, fu principalmente un pittore di affreschi e tavole per la devozione privata, come è il caso di questa di modeste dimensioni.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
Cristo in croce, tra le rocce aride del Golgota, è mostrato sofferente, con mani, piedi e costato ancora sanguinanti, circondato da quattro angeli piangenti interamente graniti sull’oro, mentre la Vergine e san Giovanni Evangelista si dolgono afflitti del dramma in atto e la Maddalena s’inginocchia alla base della croce (raffigurata secondo la tipologia a forcella o “Y”, legata al Lignum vitæ di Bonaventura, Guerzi 2006). La sezione superiore della composizione è incorniciata da un’iscrizione in lettera gotica realizzata sull’oro a contrasto con una vernice bruna e delimitata da due fasce di bolli regolari, di lettura oggi frammentaria (soprattutto la sezione incipitaria a sinistra).
Registrata come opera di artista bolognese del Quattrocento nella Relazione di Stima della Collezione Sterbini commissionata da Federico Hermanin nel 1935 (Guerzi 2006), la tavola è stata ascritta da Santangelo (1947) a Giovanni da Modena all’aprirsi del XV secolo, proposta confermata da Longhi (1950; Longhi 1955, ed. 1956), che giudicava il Crocifisso "di un colmo espressionistico, quasi alla guisa di un Boemo", da Zeri (1950; Zeri 1955) e da Castelfranchi Vegas (1966).
Già Bottari, in un corso tenuto nel 1957-1958 (e trascritto in Volpe 1958) aveva osservato come la "oltranza espressiva" della tavola di Palazzo Venezia, a suo parere eseguita negli anni trenta, diverga dai modi del maestro modenese, e riteneva che la Crocifissione andasse ricondotta piuttosto a un pittore emiliano capace di contemperare i retaggi trecenteschi di Jacopo di Paolo alle istanze più internazionali di Giovanni da Modena, "di certo patetico e doloroso d’oltralpe". Questo orientamento era seguito da Padovani (1975) che individuava più specificamente nel cosiddetto Secondo Maestro di Carpi il modello per il pathos drammatico e il panneggiare ad ampie falcature della Crocifissione. A tale Maestro la studiosa ricollegava anche l’Orazione di Cristo nell’orto del Getsemani di Palazzo Venezia (inv. 1023).
Volpe (1983) per primo collegò la tavola romana agli affreschi di argomento astrologico nella zona inferiore della sala del Palazzo della Ragione a Padova (post 1420) che Ragghianti (1972) aveva riferito all’artista allora identificato come Stefano da Ferrara. Secondo Volpe, questo pittore si collocava tra le "battute più tarde, ma ancora sapidissime, del gotico ferrarese" e i primi riflessi di Pisanello percepibili in altre sue opere, che tuttavia la critica successiva ha stornato in un caso sul Secondo Maestro di Carpi (Medica 1988) e in un altro sulla cerchia di Pisanello (Cordellier 1996). L’attribuzione della Crocifissione al cosiddetto Stefano da Ferrara, confermata da Medica (1987), poi respinta da Medica stesso (1989), è stata ribadita da Benati (1988), che retrodatava però la tavola intorno al 1415, considerandola una "prova più antica e in chiave tutta bolognese" dell’artista. Diversamente, Grandi (1987) la ha assegnata a un artista locale "parallelo [alla] fase più remota di Giovanni da Modena, se non forse, un diretto precedente", e Lucco (1989) la ha allontanata dal catalogo del cosiddetto Stefano da Ferrara, considerandola aggiornata sulle opere lombarde e francesi a cavallo fra Tre e Quattrocento, seppur di sicura esecuzione bolognese, come testimoniano le decorazioni dei nimbi, pressoché sovrapponibili a quelli realizzati dalla bottega di Jacopo di Paolo e del figlio Orazio.
Nel seguito degli studi, è però emerso un profilo tutto trecentesco di Stefano da Ferrara, documentato tra la città estense, Treviso, Cremona e Padova (Boskovits 1994; Baradel 2019; Guarnieri 2021), e per questo motivo la personalità ricostruita da Volpe è stata ribattezzata “Pseudo Stefano da Ferrara”, in attesa di concrete attestazioni documentarie.
De Marchi (1999; De Marchi 2002) ha messo a fuoco l’importante ruolo svolto da Antonio di Pietro da Verona nel cantiere decorativo della Sala della Ragione a Padova e, di recente, ritiene che lo Pseudo Stefano fosse lì attivo in quanto "giovane e preponderante collaboratore" di Jacopo di Paolo, quest’ultimo riconosciuto come autore del Giacomo apostolo negli affreschi padovani (De Marchi 2021, pp. 9-47).
Mentre Flores D’Arcais (1998; Flores D’Arcais 2001) ha rilanciato la proposta di riconoscere lo Pseudo Stefano nell’artista di cultura lombarda e ferrarese attivo negli affreschi della cappella di San Martino a Carpi (oggi ricollegati al Maestro G.Z., alias Michele Dai Carri, Benati 2007), nuove aperture sono venute da Guerzi (2006), che ha evidenziato l’aggiornamento dello Pseudo Stefano sull’incontro avvenuto a Bologna tra Giovanni da Modena e Jacopo della Quercia, suffragato dalle numerose tangenze stilistiche intorno agli anni venti e dai lavori per la Porta Magna (Benati 2014; Cavazzini 2014). I confronti tra i Profeti di San Petronio (nella prima fase dei lavori 1426-1428, Bellosi 1983) e i personaggi degli affreschi padovani rivelano un identico proliferare di panneggi copiosi e una peculiare "casualità mai prevedibile del gesto". Così anche la Crocifissione romana dialoga al contempo con le reminiscenze neo-trecentesche del bolognese Jacopo di Paolo (si vedano i nimbi) e con le influenze venete in terra emiliana (De Marchi 1987; De Marchi 1999), con particolare attenzione all’impegno profuso per la decorazione aurea, persino negli angeli graniti sull’oro, che furono un’invenzione di Gentile da Fabriano (De Marchi 1992; De Marchi 2006).
Mariaceleste Di Meo
Scheda pubblicata il 27 Marzo 2025
Stato di conservazione
Discreto. La scheda inventariale depositata nel museo segnala un restauro eseguito poco dopo la metà degli anni sessanta del secolo scorso dall’Istituto Centrale del Restauro. È probabile che in quell’occasione si sia scelto di rimediare all’imbarcatura della tavola ricorrendo alla sverzatura da raddrizzamento, ovverosia all’inserimento di listelli lignei tra le fenditure del legno, tuttora visibili sul retro. Si è inoltre provveduto al riempimento di alcune lacune della pellicola pittorica con la tecnica del rigatino, in particolar modo all’altezza di una spaccatura nella sezione inferiore del dipinto, verso sinistra. Tuttora è infine possibile notare dei brani privi delle ultime velature (parte del panneggio di san Giovanni).
Restauri e analisi
1966-1967: restauro eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro.
Iscrizioni
Ai margini della tavola: «[…] NAZARENUS/ REX IUDEORUM ET SALVATOR».
Provenienza
Roma, Collezione Giulio Sterbini;
Roma, Collezione Lupi;
Roma, dono di Giovanni Armenise, 15 luglio 1940;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1940.
Esposizioni
Bologna, Pinacoteca Nazionale, Mostra della pittura bolognese del ’300, maggio-luglio 1950;
Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, 21 aprile-23 luglio 2006.
Bibliografia
Santangelo Antonino (a cura di), Museo di Palazzo Venezia. Catalogo. 1. Dipinti, Roma 1947, p. 37, fig. 52;
Longhi Roberto, Piano consistenza e significato di questa mostra, in Guida alla Mostra della pittura bolognese del ’300, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, maggio-luglio 1950), Bologna 1950, pp. 11-24;
Longhi, in Guida alla Mostra della pittura bolognese del ’300, catalogo della mostra (Bologna, Pinacoteca Nazionale, maggio-luglio 1950), Bologna 1950, p. 35, n. 110;
Zeri Federico, Belbello da Pavia: un salterio, in «Paragone. Arte», 1, 1950, 3, pp. 50-52;
Longhi Roberto, Note brevi (1955), in Opere complete di Roberto Longhi, V, Officina ferrarese, Firenze 1956, pp. 193-195;
Zeri Federico (a cura di), Catalogo del Gabinetto Fotografico Nazionale. 3. I dipinti del museo di Palazzo Venezia in Roma, Roma 1955, p. 6, n. 53;
Volpe Carlo, La pittura in Emilia nella prima metà del ’400, testo delle dispense per il corso di Stefano Bottari, a.a. 1957-58, Bologna 1958, p. 38;
Castelfranchi Vegas Liana, Il gotico internazionale in Italia, Roma 1966, p. 40;
Ragghianti Carlo Ludovico, Stefano da Ferrara. Problemi critici tra Giotto a Padova, l’espansione di Altichiero e il primo Quattrocento a Ferrara, Firenze 1972;
Padovani Serena, Pittori della corte estense nel primo Quattrocento, in «Paragone. Arte», 26, 1975, 299, pp. 25-53, nota 20;
Bellosi Luciano, La “porta magna” di Jacopo della Quercia, in Bellosi Luciano, Budriesi Roberta, Fanti Mario et al., La Basilica di San Petronio, Bologna 1983, pp. 163-212;
Volpe Carlo, La pittura gotica. Da Lippo di Dalmasio a Giovanni da Modena, in Bellosi Luciano, Budriesi Roberta, Fanti Mario et al., La Basilica di San Petronio, Bologna 1983, pp. 213-294, fig. 289;
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Grandi Renzo, La pittura tardogotica in Emilia, in Zeri Federico (a cura di), La pittura in Italia. Il Quattrocento, I, Milano 1987, pp. 222-239, nota 28;
Medica Massimo, Giovanni di Pietro Falloppi da Modena, in Zeri Federico (a cura di), La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, pp. 644-645;
Benati Daniele, Pittura tardogotica nei domini estensi, in Benati Daniele, Bentini Jadranka (a cura di), Il tempo di Nicolò III. Gli affreschi del Castello di Vignola e la pittura tardogotica nei domini estensi, catalogo della mostra (Vignola, Rocca, 8 maggio-30 giugno 1988), Modena 1988, pp. 43-60, nota 28;
Medica Massimo, in Benati Daniele, Bentini Jadranka (a cura di), Il tempo di Nicolò III. Gli affreschi del Castello di Vignola e la pittura tardogotica nei domini estensi, catalogo della mostra (Vignola, Rocca, 8 maggio-30 giugno 1988), Modena 1988, p. 138;
Lucco Mauro, Padova, in Lucco Mauro (a cura di), Pittura nel Veneto, I, Il Quattrocento, Milano 1989, pp. 80-101, note 50-52;
De Marchi Andrea, Gentile da Fabriano: un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Milano 1992;
Boskovitz, in Rosenberg Pierre (a cura di), Hommage à Michel Laclotte. Etudes sur la peinture du Moyen Âge et de la Renaissance, Milano 1994, pp. 56-67;
Medica Massimo, Stefano da Ferrara, in Lucco Mauro (a cura di), Pittura nel Veneto, II, Il Quattrocento, Milano 1989, pp. 360-361;
Cordellier Dominique, Pisanello. La princesse au brin de genévrier, Paris 1996;
Flores D’Arcais Francesca, Note sulla decorazione a fresco del Palazzo della Ragione di Padova, in Spiazzi Anna Maria, Il palazzo della Ragione di Padova. Indagini preliminari per il restauro – Studi e ricerche, Treviso 1998, pp. 11-22;
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Guerzi, in Laureati Laura, Mochi Onori Lorenza (a cura di), Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra (Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, 21 aprile-23 luglio 2006), Milano 2006, pp. 106-108, cat. II.5;
De Marchi Andrea, Gli angeli graniti: la Madonna di Perugia, in Laureati Laura, Mochi Onori Lorenza (a cura di), Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra (Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, 21 aprile-23 luglio 2006), Milano 2006, pp. 94-95;
Benati Daniele, Jacopo Avanzi e Altichiero a Padova, in Valenzano Giovanna, Toniolo Federica (a cura di), Il secolo di Giotto nel Veneto, Venezia 2007, pp. 385-415;
Benati Daniele, Giovanni da Modena, tra gotico e rinascimento, in Benati Daniele, Medica Massimo (a cura di), Giovanni da Modena. Un pittore all’ombra di San Petronio, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Medioevale, 12 dicembre 2014-12 aprile 2015), Cinisello Balsamo 2014, pp. 15-43, nota 127;
Cavazzini Laura, Giovanni da Modena e la scultura, in Benati Daniele, Medica Massimo (a cura di), Giovanni da Modena. Un pittore all’ombra di San Petronio, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Medievale, 12 dicembre 2014-12 aprile 2015), Milano 2014, pp. 69-83;
Baradel Valentina, Stefano da Ferrara, ad vocem, in Dizionario biografico degli italiani, 94, 2019 (online);
De Marchi Andrea, Alla ricerca delle origini di Stefano da Verona, figlio di Jean d’Arbois: la Crocifissione von Lenbach, in «Arte Veneta», 78, 2021, pp. 9-47, nota 47;
Guarnieri Cristina, Sulle tracce di Stefano da Ferrara nella basilica del Santo a Padova, in «Il Santo», 51, 2021, 1-2, pp. 217-232.