Il convegno esplora la pluralità dei concetti di Rinascimento attraverso i tempi, esaminando grandi figure, pratiche artistiche e paradigmi che, a distanza di cinque secoli dai fatti, hanno contribuito a mantenerne inesausta la carica vitale. Il titolo stesso rinvia al rapporto dialettico tra le diverse epoche che costituiscono l’attuale nozione di “Rinascimento” così come al difficile nodo storiografico tra “Rinascimento” e “Modernità”.
Gli interventi, strutturati cronologicamente in quattro sessioni e in dibattiti tra studiosi di ambiti disciplinari differenti, hanno il loro punto di partenza e di gravità in alcuni compiti precisi, da intendersi come azioni fondamentali.
Ripercorrere dall’interno, a partire dal concetto di Rinascita celebrata nel Trecento italiano, la formazione di un paradigma mutevole, che giunge alla codificazione vasariana segmentato in più tratti e agganciato ad auctoritates (Giotto o Simone Martini, Masaccio o Gentile, Donatello o Ghiberti, Brunelleschi o Alberti) pure al nostro sguardo talora inconciliabili. Sembra dunque possibile ipotizzare il maturo Rinascimento come un “palinsesto” da cui grattare via, come da una vernice, l’alta retorica omologante, per farne emergere quelle “origini municipali” ancora fertili e vitali fino alla fine del XV secolo. Una dinamica cioè perfettamente applicabile al ruolo che Giorgio Vasari affiderà al linguaggio totalizzante della “maniera moderna”, con la conseguente subordinazione del sistema diversarum artium di tradizione medievale all’estetica normativa del “Disegno”. In questa cornice andrà verificato quanto la dominante cultura materiale della bottega quattrocentesca, nella sostanza priva di gerarchie tra le tipologie e le tecniche, sia stata progressivamente concettualizzata e disarticolata nel corso del secolo successivo.
Verificare cosa resta della “maniera moderna” al XVII e XVIII secolo: quale e quanto Michelangelo? Quale e quanto Leonardo? Perché si costituirà la triade duratura Raffaello, Correggio, Tiziano? E perché Veronese e non Tintoretto? In che modo l’aurea epoca leonina si rispecchierà nei pontificati secenteschi e per quali ragioni verrà ad occupare un ruolo canonico nella storiografia illuminista?
Riconsiderare, a partire dall’Ottocento, il peso storiografico del Rinascimento, giunto a coincidere, nella ideologia preunitaria e postunitaria, come nel caso esemplare della Storia della letteratura (1870) di Francesco De Sanctis, con la “fine della libertà italiana” e con la “mancata Riforma” religiosa: a un paese disunito, oppresso dal “giogo” spagnolo e imbavagliato dalla Chiesa di Roma, pareva dunque sbarrato l’accesso alla Modernità nello stesso periodo in cui tuttavia era collocato il suo apogeo: in quale misura la storiografia artistica ebbe coscienza di questa paradossale contraddizione? E con quanta lucidità e con quale successo? In che rapporto si pose, fuori d’Italia, la “maniera moderna” vasariana con la “Renaissance” di Michelet, Sismondi, Roscoe, Burckhardt prima e poi di Wölfflin, Warburg o Panofsky? E da altro e più generale punto di vista, su quali basi è ancora legittimo considerare la Riforma protestante contrapposta al Rinascimento europeo e al suo lascito o è al contrario possibile ritenere che ne sia stata parte?
Misurarsi con il fatto che il paradigma “Rinascimento” è stato da ormai quasi quarant’anni decostruito, per non dire demolito, a partire dagli studi post e decoloniali, dagli studi di genere, dalla Global History, dall’attualissima problematica del “postumano”, fino ai recentissimi episodi neoiconoclasti, come egemonico, eurocentrico, patriarcale, bianco. In che misura la crisi epistemologica della “storia dell’arte”, la cui “fine” è stata paradossalmente decretata da più parti, trascina con sé quella del “Rinascimento”? Fino a che punto è giusto “decostruire la decostruzione”, verificarne la tenuta storica di formule e parole d’ordine che appaiono precocemente divenute a loro volta cliché? E come spiegare la duratura fortuna periodizzante di “Renaissance”, vocabolo utilizzato ancora e comunque per sottolineare rinascita, riscossa, rivendicazione di libertà, in qualunque parte del mondo e in qualunque epoca storica esse accadano o siano accadute? Se una tale narrazione, incentrata sull’Europa, aveva infatti reso automaticamente periferiche tutte le altre storie culturali, sembra giunto ora il momento di ripensare lucidamente come i concetti imposti all’altro, quali costruzioni di potere, non siano che una forma di riflessione sulle proprie proiezioni e i propri rifiuti: è questa la ragione per cui gli organizzatori dell’incontro credono sia necessario ripensare ancora una volta e in positivo alla nozione di Rinascimento.