1861-1904. La genesi e lo sviluppo del sistema ferroviario italiano
La vicenda delle ferrovie in Italia ebbe inizio il 3 ottobre 1839, quando Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, inaugurò il tratto Napoli-Portici. Entro il 1861, anno dell’Unità d’Italia, la rete poteva contare su oltre 2000 chilometri di linee, distribuite in modo disorganico lungo la Penisola e spesso realizzate grazie a capitali, competenze e materiali stranieri.
Alla nascita del Regno il treno rappresentava già un potente simbolo di progresso e unificazione: anche per questo motivo il nuovo governo italiano promosse un ambizioso programma volto a unire e omologare i diversi sistemi regionali, così da conferire forma fisica alla nazione. Pur con una serie di problemi, le concessioni a società private, sostenute da investitori stranieri, assicurarono la rapida espansione della rete. Sotto il profilo delle competenze, il nascente mondo ferro viario servì da laboratorio per generazioni di tecnici, che in breve tempo colmarono il ritardo con altri Paesi industrializzati.
Come evidenziano le opere di molti artisti – inclusi De Nittis e Morbelli –, il treno nel giro di pochi decenni entrò nella vita quotidiana degli italiani, impose un tempo comune, creò nuove professioni, ridisegnò distanze e mentalità. Ai primi del Novecento la Penisola poteva dirsi collegata da nord a sud, attraverso un sistema ferroviario veramente nazionale. Anche in questo campo la visione di Camillo Cavour era divenuta realtà.
Le quattro sezioni della mostra
1905-1944. Dalla nazionalizzazione alla Seconda guerra mondiale
La nazionalizzazione, realizzata nel 1905, segnò una svolta decisiva nella storia dei trasporti italiani. Nacquero così le Ferrovie dello Stato: il loro obiettivo consisteva nell’unificare e rendere più moderno ed efficiente l’intero sistema del trasporto su rotaie. Le grandi industrie metalmeccaniche, come Ansaldo, Breda, FIAT e le Acciaierie di Terni, trovarono nelle Ferrovie dello Stato un potente volano di sviluppo.
Durante la Prima guerra mondiale (1915-1918), la rete ferroviaria divenne il cuore dello sforzo bellico assicurando il trasporto delle truppe al fronte con le celebri “tradotte”. Pochi anni dopo, nel 1921, il treno si trasformò in simbolo di lutto nazionale: lungo i binari viaggiò da Aquileia a Roma la salma del Milite Ignoto, anco ra oggi custodita proprio qui nel Vittoriano, al centro dell’Altare della Patria.
Fra le due guerre mondiali il regime fascista impiegò le ferrovie come fulcro della politica economica e dell’immaginario collettivo, facendole assurgere a simbolo di efficienza e modernità. L’elettrificazione della rete, le Direttissime, le Littorine e i treni popolari sancirono fra l’altro la nascita del turismo di massa. Nelle arti e nella letteratura il treno continuò a incarnare l’ambivalenza della modernità: promessa di progresso e libertà per molti, a cominciare dai futuristi, viceversa paradigma dell’alienazione dell’uomo contemporaneo per altri.
1945-1984. Tra rinascita e contraddizioni
Devastata durante la Seconda guerra mondiale, la rete ferroviaria nel 1945 ripartì quasi da zero. Anche grazie agli aiuti garantiti dal cosiddetto Piano Marshall, il programma americano di ricostruzione europea, le infrastrutture rientrarono in funzione con inattesa rapidità. Le Ferrovie dello Stato poterono così presentarsi come il simbolo della rinascita materiale e morale del Paese.
Dagli anni cinquanta il treno tornò protagonista dei viaggi e della quotidianità. Nuovi modelli – dal Settebello e l’Arlecchino fino al Pendolino – incarnarono il prestigio, l’eleganza e la modernità del design italiano. D’altro canto, la costruzione della rete autostradale indirizzò il Paese verso il motore a scoppio e il trasporto su gomma, determinando la progressiva marginalizzazione delle rotaie.
Nel frattempo il pendolarismo, l’emigrazione dal Sud al Nord e la crescita delle aree urbane ridisegnavano la geografia sociale dell’Italia del boom. Milioni di persone si muovevano ogni giorno tra case, fabbriche e nuove periferie, sperimentando un’inedita dimensione collettiva del viaggio.
Nelle arti, nella letteratura e nel cinema il treno divenne specchio di questa trasformazione: emblema di libertà e di movimento, come nel passato, ma insieme anche memoria delle sofferenze connesse alla guerra, all’emigrazione e ad altre contraddizioni della modernità.
1985-2025. Un tempo nuovo
Dalla metà degli anni ottanta il sistema ferroviario italiano è entrato in una fase di profonda trasformazione. L’antica azienda autonoma ha ceduto il passo a una nuova struttura, orientata a criteri di efficienza e competitività. Il modello centralizzato è sostituito da un’organizzazione decentrata e funzionale, mentre le direttive europee hanno spinto verso la liberalizzazione e l’apertura del mercato.
La svolta è giunta negli anni novanta, con la Direttiva europea n. 440 del 1991 e le Linee guida per il risanamento dell’azienda Ferrovie dello Stato del 1997, che hanno imposto la separazione tra infrastruttura e servizi di trasporto. Sono nate così Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana (RFI), riunite sotto la holding Ferrovie dello Stato Italiane.
Nel nuovo millennio il processo di rinnovamento si è rafforzato attraverso investimenti mirati all’ammodernamento della rete, all’Alta Velocità e alla mobilità sostenibile. Il Piano Strategico 2025-2029 punta su una mobilità integrata e intermodale, sul potenziamento delle linee regionali, sull’elettrificazione e la digitalizzazione. Le ferrovie italiane, forti della loro storia, guardano al futuro proponendosi come motore di innovazione, sostenibilità e connessione tra territori. 










