Spadona

Manifattura tedesca 1480-1510

In mostra presso Palazzo Venezia

Quest’arma bianca è definita spadona per le sue grandi dimensioni e doveva probabilmente essere una "spada di giustizia" ovvero adoperata per le esecuzioni, perché poco maneggevole in battaglia, ma particolarmente adatta all’uso di taglio, data la sua lama molto affilata. Il museo conserva anche la cappa in cuoio originale che serviva a proteggere l’impugnatura quando l’arma veniva inserita nel fodero.

Quest’arma bianca è definita spadona per le sue grandi dimensioni e doveva probabilmente essere una "spada di giustizia" ovvero adoperata per le esecuzioni, perché poco maneggevole in battaglia, ma particolarmente adatta all’uso di taglio, data la sua lama molto affilata. Il museo conserva anche la cappa in cuoio originale che serviva a proteggere l’impugnatura quando l’arma veniva inserita nel fodero.

Dettagli dell’opera

Denominazione: Spadona Ambito Manifattura tedesca Data oggetto: 1480-1510 Materiale: Cuoio, Ferro, Rame Tecnica: Forgiatura Dimensioni: altezza 117,8 cm; larghezza 22 cm; spessore 4,3 cm
Tipologia: Armi Acquisizione: 1959 Luogo: Palazzo Venezia Numero inventario principale: 11830

La spadona si presenta con una lunga lama triangolare che nel forte, la sezione più vicina all’elsa, è percorsa da uno sguscio, la cui lunghezza corrisponde grossomodo a quella dell’impugnatura. Nella parte più profonda dello sguscio si nota un intarsio ageminato in rame, una linea sottile con dei tratti rivolti verso l’esterno (forse a imitazione di un ramo vegetale), prettamente decorativa e priva di funzione pratica, che sottolinea però una velleità di miglioramento estetico di un’arma piuttosto semplice nella fattura. Alla fine dello sguscio, sulla lama, si distinguono chiaramente due marche intarsiate, una per lato: una croce greca inscritta in un cerchio e una lettera "S" con ampie grazie, sempre inscritta in un cerchio. Esse, come la decorazione nello sguscio, sono realizzate con la tecnica dell’agemina, ovvero incidendo il ferro per ricavarne parti cave da riempire, in questo caso, con del rame.
La parte superiore è composta da una sottile elsa a rami dritti, che si inspessiscono leggermente verso l’esterno, da una manica in cuoio lavorato a righe sottili per migliorarne la presa e da un pomo piriforme fissato con una borchia in rame a forma di fiore. Di questa spada si conserva ancora la cappa in cuoio che serviva a proteggere la crociera dell’elsa quando veniva inserita nel fodero (di Carpegna 1969, p. 35, n. 199).
Questo spadone è particolarmente robusto e con una lama molto rigida, tanto da far supporre che potesse essere stata realizzata come "spada di giustizia" ovvero per le esecuzioni: la lama piatta è particolarmente adatta al taglio netto e poco versatile nei combattimenti in battaglia. Anche l’elsa breve, non adatta a proteggere durante gli scontri, sembra indirizzare verso questa ipotesi (Scalini 2018, p. 59, n. I.13; Oakeshott 2021, pp. 146-150).
Probabilmente prodotta in Germania, tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento, quest’arma reca un punzone difficilmente leggibile sulla lama, forse uno scudo, che identificava la bottega dove era stata forgiata. Sempre sulla lama sono presenti anche due simboli ageminati, più grandi, definiti e raffinati, che potrebbero essere un marchio richiesto dal committente per siglare le armi in suo possesso. I medesimi simboli (la croce e la S) sono presenti anche su un’altra spada conservata a Palazzo Venezia (inv. 11826; di Carpegna 1969, p. 35, n. 195), pressoché identica a questa, per lama ed elsa e differente solo nella forma del pomo, che è rotondo anziché piriforme.
Per la forma semplificata dell’elsa, per la manica in cuoio rigato e il pomo piriforme, questa spadona può essere confrontata con un esemplare affine conservato presso la Wallace Collection di Londra (inv. A698; Mann 1962), attribuito a una bottega tedesca e datato al primo decennio del Cinquecento.
La spada di Palazzo Venezia, assieme alla gemella, fa parte della collezione del principe Ladislao Odescalchi (1846-1922), acquistata dallo Stato italiano nel 1959 e collocata a Palazzo Venezia nel 1969. Questa vasta raccolta non era un’armeria di famiglia, ma era frutto di mirati acquisti compiuti da Odescalchi sul mercato nazionale (Firenze, Roma) e internazionale (Parigi, Londra) a partire dal tardo Ottocento (Barberini 2007).

Giulia Zaccariotto

 

Buono.

Sulla lama due marche intarsiate in rame, una croce e una «S» graziata, inscritte in un cerchio e, su questo secondo lato, un punzone in forma di scudo (difficilmente leggibile) a circa due terzi dello sguscio.

Collezione Ladislao Odescalchi (Odescalchi, n. 540);
acquisita dallo Stato italiano, 1959;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1969.

Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Antiche armi dal sec. IX al XVIII. Già Collezione Odescalchi, maggio-luglio 1969;
Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo; Roma, Museo Nazionale di Palazzo  Venezia, Armi e potere nell’Europa del Rinascimento, 26 luglio-11 novembre 2018.

 

Mann James Gow, European Arms and Armour. Wallace Collection Catalogues, 2 voll., London 1962;
di Carpegna Nolfo (a cura di), Antiche armi dal sec. IX al XVIII. Già Collezione Odescalchi, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, maggio-luglio 1969), con schede a firma del curatore, Roma 1969, p. 35, n. 199;
di Carpegna Nolfo, Le armi Odescalchi, Roma 1976;
Barberini Maria Giulia, La collezione Odescalchi di armi antiche: storia della raccolta del principe Ladislao, in «Bollettino d’arte”, s. VI, XCI, 2006 (2007), 137/138, pp. 101-114;
Fossà Bianca, Studio conservativo delle armi e armature Odescalchi. Nuove metodologie per la schedatura di una collezione, in «Bollettino d’arte», s. VI, XCI, 2006 (2007), 137/138, pp. 115-142;
Oakeshott Ewart, European Weapons and Armour. From the Renaissance to the Industrial Revolution, Woodbridge 2012;
Scalini Mario (a cura di), Armi e potere nell’Europa del Rinascimento, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo; Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 26 luglio-11 novembre 2018), con schede a firma del curatore, Cinisello Balsamo 2018, p. 59, n. I.13.

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