Madonna con il Bambino e san Giovannino
Da Jacopo Torni detto l'Indaco? 1570-1599
La Madonna con il Bambino e san Giovannino è una copia, con alcune variazioni, della cosiddetta Madonna del Pozzo conservata alle Gallerie degli Uffizi di Firenze e ultimamente assegnata a Jacopo Torni detto l’Indaco. Il prototipo fiorentino deve il suo nome al brano sullo sfondo nel quale è raffigurato un pozzo, tratto da un’incisione di Dürer del 1504, che tuttavia non è presente nel dipinto di Palazzo Venezia. La principale differenza tra le due opere è infatti proprio nel paesaggio, che diventa in questa opera quasi un notturno e che suggerisce una datazione intorno alla fine del secolo.
La Madonna con il Bambino e san Giovannino è una copia, con alcune variazioni, della cosiddetta Madonna del Pozzo conservata alle Gallerie degli Uffizi di Firenze e ultimamente assegnata a Jacopo Torni detto l’Indaco. Il prototipo fiorentino deve il suo nome al brano sullo sfondo nel quale è raffigurato un pozzo, tratto da un’incisione di Dürer del 1504, che tuttavia non è presente nel dipinto di Palazzo Venezia. La principale differenza tra le due opere è infatti proprio nel paesaggio, che diventa in questa opera quasi un notturno e che suggerisce una datazione intorno alla fine del secolo.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
La Madonna con il Bambino e san Giovannino riprende, con alcune significative differenze, il dipinto detto la Madonna del Pozzo, conservato alle Gallerie degli Uffizi di Firenze sotto il nome di Jacopo dell’Indaco. L’opera proviene dalla collezione del cardinale Tommaso Ruffo di Bagnara, ma non sappiamo quando vi entrò: non è menzionata tra quelle da esposte dal prelato tra il 1702 e il 1705 nelle mostre curate da Giuseppe Ghezzi in San Salvatore in Lauro a Roma, che tuttavia non coinvolsero la sua intera quadreria (De Marchi 1987, pp. 167-168, 187, 195, 197; De Angelis 2010, p. 57). Ritenuto di mano di Raffaello, era in possesso del cardinale almeno dal 1734 come si evince dalla descrizione in prosa e in versi di Jacopo Agnelli, che vide l’opera nel palazzo arcivescovile di Ferrara, dove dimorava Tommaso Ruffo quando fu vescovo della città dal 1717 al 1738 (Agnelli 1734, pp. 62-63; Ferrara 2008; De Angelis 2010, p. 54; Ferrara 2011; Caridi 2017, 89, pp. 158-160; Haskell 2019, p. 293). Trasferitosi a Roma, Tommaso Ruffo portò con sé la collezione, che fu sistemata nella sua residenza nel palazzo della Cancelleria (De Angelis 2010; Gioffré 2014; De Angelis 2013). Il dipinto è ricordato nell’inventario successivo alla morte del cardinale nel 1753 stilato da Sebastiano Conca e Giovanni Sorbi. Con il testamento del dicembre 1752 egli aveva nominato suo unico erede il nipote Litterio e aveva predisposto il trasferimento della quadreria a Napoli (De Angelis 2010, pp. 55-56, 68, 76-77, nota 78; Salvatore 2013, p. 116; Paviolo 2014). La tavola fu esposta, ancora come opera di Raffaello, alla mostra napoletana dell’8 aprile 1877 (Esposizione dell’arte antica napoletana 1877, p. 155; Battista 2005, pp. 65-66, 73, nota 14) ed è attestata ancora a Napoli dall’inventario dei beni di Fabrizio Ruffo del 22 giugno 1909. In quel documento venne segnalata la prossimità del dipinto alla cosiddetta Madonna del Pozzo degli Uffizi, allora ritenuta di Raffaello; il confronto portò a considerare l’opera fiorentina una “riproduzione migliorata dello stesso autore e perciò“ a escludere “la possibilità“ che entrambi i dipinti si potessero ascrivere all’urbinate (Battista 2005, p. 75, n. 12). La tavola è infatti declassata a “scolaro del Raffaello forse Giuliano Bugiardini“ nell’atto di donazione della collezione Ruffo di Bagnara allo Stato italiano del 15 maggio 1915 (Battista 2005, p. 78, n. 16). Dopo l’ingresso nel Museo di Palazzo Venezia, il dipinto è ritenuto da Antonino Santangelo opera di un pittore fiorentino e databile, su parere di Roberto Longhi, intorno al 1520-1530, giudizio confermato da Federico Zeri (Santangelo 1947, p. 19; Zeri 1955, p. 10, n. 165).
Discussa è la paternità del suo prototipo, la Madonna del Pozzo, variamente datata entro il secondo decennio del Cinquecento. Si ritiene che la tavola degli Uffizi provenga dalla distrutta chiesa di San Pier Maggiore sulla base della descrizione di Giorgio Vasari, che segnala in quel luogo una Madonna con il Bambino e san Giovannino di Franciabigio, ricordata anche da Francesco Bocchi come opera di Andrea del Sarto (Vasari [1568] 1976, IV, p. 506; Bocchi, in Bocchi Cinelli [1591] 1677, p. 358). Il dipinto, secondo la testimonianza di Giovanni Cinelli, venne acquisito dal cardinal Carlo de’ Medici, nel cui inventario del 1667 si trova infatti la Madonna del Pozzo, indicata come di Franciabigio (Cinelli, in Bocchi Cinelli 1677, p. 358; McKillop 1974, p. 155, n. 26). Fu esposta nella Tribuna degli Uffizi sotto il nome di Raffaello, fino a quando Joseph A. Crowe e Giovan Battista Cavalcaselle, riconoscendola come l’opera citata da Vasari, ritornarono sul nome di Franciabigio, che fu in gran parte accettato dalla critica, fatti salvi alcuni autorevoli tentativi di assegnare il dipinto a Giuliano Bugiardini (Crowe, Cavalcaselle 1866, III, p. 501; McKillop 1974, pp. 155-157, n. 26). Sulla scorta dei dubbi espressi da Longhi, Fiorella Sricchia Santoro ha ipotizzato più recentemente che l’autore possa essere Jacopo Torni detto l’Indaco (Longhi 1953, 43, p. 54; Sricchia Santoro 1963; Sricchia Santoro 1993; Zurla 2010-2011; Padovani 2012, p. 26).
La fortuna del dipinto fiorentino è attestata da molteplici copie, segnalate da Susan Regan McKillop, a volte note solo da fotografie, e dall’esistenza di un cartone, conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge, che non fu probabilmente preparatorio per l’opera, e il cui gravissimo stato di conservazione impedisce di individuarne la mano e la funzione (De Amicis 1898; McKillop 1974, pp. 157, 187, 197, 208, 212, 216, 220; Scrase 2011, pp. 261-262, n. 232).
A differenza degli altri, il dipinto di Palazzo Venezia presenta alcune rilevanti disparità rispetto alla Madonna del Pozzo. In primo luogo è di dimensioni più grandi e di proporzioni dissimili nel rapporto tra altezza e larghezza (il dipinto degli Uffizi misura cm 106 x 81). I personaggi che lo compongono sono identici a quelli del prototipo tranne che per la croce e il cartiglio che, nel primo caso, si trovano nelle mani del san Giovannino, mentre nella nostra tavola la croce, avvolta dal cartiglio con la scritta “ECCE AGNUS DEI“, è tenuta dal Bambino. Il divario più significativo è però nella descrizione del paesaggio, in cui sparisce il brano con il pozzo sulla porzione sinistra dello sfondo, che diede il nome all’opera e che fu ispirato da un’incisione di Dürer del 1504 (Sricchia Santoro 1993, p. 13; Scherbaum 2001, I, pp. 114-115).
La libertà che l’autore esprime nel distaccarsi dal modello preso a riferimento fa pensare che questa copia sia nata in un momento più avanzato nel tempo, con il tentativo di aggiornare alcuni elementi della composizione ormai percepiti come sorpassati. Questo avviene in particolar modo proprio nel paesaggio: la raffigurazione meticolosa, di campagna abitata, di aria tersa, mattiniera, sui toni del celeste e del verde, si trasforma quasi in un notturno, e si articola in una sequenza di valli e monti lontani in varie gradazioni di blu, che rimarcano il contrasto con le tinte marroni, quasi nere, del terreno e dei due alberi ai lati a fare da quinte. A tale mutamento cromatico fa riscontro anche l’abito della Vergine, non più rosso ma rosa. Il paesaggio così scenografico del dipinto di Palazzo Venezia non trova riscontro nella pittura di primo Cinquecento e induce a ritenere che l’opera sia stata realizzata almeno sul finire del secolo.
Francesca Mari
Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025
Stato di conservazione
Discreto. La figura del san Giovannino sembra presentare un grado di finitura più arretrato rispetto al resto del gruppo, poiché sono chiaramente visibili i segni del pennello che ne scontornano il corpo, con i relativi pentimenti; tuttavia il confronto con una fotografia storica dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (GFN 35143) induce a ipotizzare che questo effetto sia in tutto o in parte il risultato di un eccesso di pulitura che ha comportato la perdita di parti della finitura pittorica, come la pelliccia del santo e come si vede anche in altre zone del paesaggio e sulle chiome degli alberi.
Restauri e analisi
Sul verso si rileva il risanamento del supporto con inserti lignei in corrispondenza delle giunture delle tavole con inserti lignei.
Provenienza
Ferrara, Collezione del cardinale Tommaso Ruffo di Bagnara, entro 1734 e fino al 1738;
Roma, Collezione del cardinale Tommaso Ruffo di Bagnara, fino al 1753;
Napoli, Collezione di Litterio Ruffo, dal 1753;
Roma, Museo di Palazzo Venezia, donazione di Fabrizio Ruffo, 15 maggio 1915.
Esposizioni
Napoli, Esposizione dell’arte antica napoletana, 1877.
Fonti e documenti
Fotografia del Kunsthistorisches Institut di Firenze (cartella Franciabigio);
Fotografia ICCD (inv. E 35143).
Bibliografia
Bocchi Francesco, Cinelli Giovanni, Le bellezze della città di Firenze, dove a pieno di pittura, di scultura, di Sacri Templi, di Palazzi i più notabili artifizi, e più preziosi si contengono. Scritte già da M. Francesco Bocchi ed ora da M. Giovanni Cinelli ampliate e accresciute, Firenze 1677;
Agnelli Jacopo, Galleria di pitture dell’E.mo, e R.mo Signor Cardinale Tommaso Ruffo, Vescovo di Palestrina, e di Ferrara, ecc., Ferrara 1734, pp. 62-63;
Crowe Joseph Archer, Cavalcaselle Giovanni Battista, A New History of Painting in Italy from the Second to the Sixteenth Century, III, London 1866;
Esposizione dell’arte antica napoletana. Catalogo generale dell’arte antica, catalogo della mostra (Napoli, 8 aprile 1877), compilato dal Comitato Esecutore, Napoli 1877, p. 155;
De Amicis Franco, Raffaello Sanzio e la scoperta di un suo quadro, Amsterdam 1898;
Santangelo Antonino (a cura di), Museo di Palazzo Venezia. Catalogo. 1. Dipinti, Roma 1947, p. 19;
Longhi Roberto, Avvio a Pier Francesco Toschi, in «Paragone», 43, 1953, pp. 53-55;
Zeri Federico (a cura di), Catalogo del Gabinetto Fotografico Nazionale. 3. I dipinti del Museo di Palazzo Venezia in Roma, Roma 1955, p. 10;
Sricchia Santoro Fiorella, Per il Franciabigio, in «Paragone», 163, 1963, pp. 3-64;
McKillop Susan Regan, Franciabigio, Berkeley 1974, pp. 157, 212;
Vasari Giorgio, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, Barocchi Paola, Bettarini Rosanna (a cura di), IV, Firenze 1976;
De Marchi Giulia, Mostre di quadri a S. Salvatore in Lauro (1682-1725). Stime di collezioni romane. Note e appunti di Giuseppe Ghezzi, Roma 1987;
Sricchia Santoro Fiorella, Del Franciabigio, dell’Indaco e di una vecchia questione. II, in «Prospettiva», 71 1993, pp. 12-33;
Scherbaum, in Schoch Rainer, Mende Matthias, Scherbaum Anna (a cura di), Albrecht Dürer. Das druckgraphische Werk. Kupferstiche, Eisenradierungen und Kaltnadelblätter, Münich, London, New York 2001, I, pp. 114-115, n. 40;
Battista Stefania, La collezione Ruffo di Bagnara: alcuni documenti inediti, in Pavone Mario, Giannone Antonio L. (a cura di), Percorsi d’arte, tra vestigia dei Messapi il collezionismo dei Ruffo e l’evoluzione pittorica di Mino Delle Site, catalogo della mostra (Cavallino, Lecce, Convento di San Domenico, 30 gennaio-13 marzo 2005; Salerno, Pinacoteca provinciale, 23 marzo-1 maggio 2005), Salerno 2005, pp. 65-68; p. 73, nota 14; p. 75, n. 12; p. 78, n. 16;
Ferrara Tiziana, La Galleria ferrarese del Cardinale Tommaso Ruffo secondo la descrizione dell’Agnelli, in Abbate Francesca (a cura di), Percorsi di conoscenza e tutela, Pozzuoli 2008, pp. 425-431;
De Angelis Maria Antonietta, I dipinti del cardinale Tommaso Ruffo (1663-1753): la quadreria di un alto prelato nella Roma del Settecento, in Debenedetti Elisa (a cura di), Collezionisti, disegnatori e pittori dall’Arcadia al Purismo, Roma 2010, pp. 53-92, nota 78;
Zurla Michela, Jacopo Torni detto l’Indaco, in «Proporzioni», XI-XII, 2010-2011, pp. 39-68;
Ferrara Tiziana, Proposte in merito all’individuazione di alcuni dipinti della collezione ferrarese del cardinale Ruffo, in Lorizzo Loredana (a cura di), Fare e disfare, Roma 2011, pp. 65-73;
Scrase David, Italian Drawings at the Fitzwilliam Museum, Cambridge. Together with Spanish Drawings, Cambridge 2011;
Padovani Serena, Intorno a Piero di Cosimo. Il filo rosso di alcune attribuzioni sbagliate, in «Commentari d’arte», 51, 2012, pp. 18-32;
De Angelis Maria Antonietta, L’ultimo soggiorno a Roma del cardinale Tommaso Ruffo (1738-1753), in Pavone Mario Alberto (a cura di), Il collezionismo del cardinale Tommaso Ruffo tra Ferrara e Roma, Roma 2013, pp. 171-212;
Salvatore Donato, Il ritratto di Jacopo Sannazaro attribuito a Raffaello, in Pavone Mario Alberto (a cura di), Il collezionismo del cardinale Tommaso Ruffo tra Ferrara e Roma, Roma 2013, pp. 115-119;
Gioffrè Domenico, Potenza e mecenatismo dei Cardinali della Gran Casa dei Ruffo di Bagnara, in «Calabria sconosciuta», 143/144, 2014, pp. 53-57;
Paviolo Maria Gemma, I testamenti dei cardinali. Tommaso Ruffo (1663-1753), Morrisville 2014;
Caridi Giuseppe, Ruffo Tommaso, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, 89, Roma 2017, pp. 158-160;
Haskell Francis, Mecenati e pittori. L’arte e la società italiane nell’età barocca, Montanari Tomaso (a cura di), Torino 2019.