Giuditta con la testa di Oloferne e la fantesca

Ambito bresciano 1510-1520

Il dipinto, riconducibile all'ambito bresciano della prima metà del Cinquecento, raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro.

Il dipinto, riconducibile all'ambito bresciano della prima metà del Cinquecento, raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro.

Dettagli dell’opera

Denominazione: Giuditta con la testa di Oloferne e la fantesca Ambito Ambito bresciano Data oggetto: 1510-1520 Materiale: Tela Tecnica: Olio su tela Dimensioni: altezza 100 cm; larghezza 85 cm
Tipologia: Dipinti Acquisizione: 2013 Luogo: Palazzo Venezia Numero inventario principale: 14129 Altri numeri Collezione Maccariello

Il dipinto raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro. 
Acquisito come opera della scuola del Pordenone, il quadro non presenta alcuna affinità con la produzione di Giovanni Antonio de’ Sacchis e, oltre a non richiamare esplicitamente alcun modello autografo dell’artista, non presenta neppure alcun legame facilmente correlabile con il suo stile pittorico. La condotta dura e la composizione piatta, infatti, male si coniugano con l’interesse del maestro friulano per la materia ricca e fusa di Tiziano e Palma il Vecchio.
Come mi suggerisce Marco Tanzi, i profili e i panneggi affilati, insieme a una pittura più asciutta e trattenuta, farebbero pensare alla Giuditta come a un prodotto del complesso clima artistico bresciano dei primi anni dieci, quando in città lavorano gomito a gomito Altobello Melone e Girolamo Romanino e attorno ai due gravitavano il giovane Moretto e i più modesti Francesco Prata e il Maestro di Nave. Nessuno di questi nomi, tuttavia, pare addirsi al dipinto di Palazzo Venezia che, meno brillante nel disegno e negli impasti cromatici, è opera di un artista assai più modesto. Ammettendo l’importante scarto qualitativo, però, confronti interessanti possono essere fatti con opere spesso dibattute tra Altobello e Romanino come la Madonna con il Bambino e san Giovannino tra i santi Valentino e Maurizio della chiesa di San Valentino a Breno (1508 circa), possibile fonte di ispirazione per i panneggi inamidati, o il ritratto di Virginio Orsini (1509), proveniente dal palazzo della famiglia a Ghedi, ora staccato e conservato presso la Fondazione Ugo Da Como a Lonato. Efficace, infine, è il confronto suggeritomi da Tanzi con il Compianto su Cristo morto datato 1510, realizzato per la cappella della Passione della chiesa di San Lorenzo a Brescia e ora nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e in particolar modo con il taglio del volto della pia donna all’estrema sinistra della composizione.
Come mi indicano Vittoria Romani e Francesco Frangi, se lo stile della Giuditta rimanda a Brescia, la sua invenzione compositiva e lo sfarzo della protagonista sembrano innestarsi nella tradizione veneziana delle mezze figure di eroine bibliche. È lecito supporre, quindi, che il dipinto di Palazzo Venezia sia una copia antica da un modello di ambito lagunare forse perduto o non ancora identificato.
Il dipinto si trova in buone condizioni ed è entrato a far parte della collezione del Museo di Palazzo Venezia con la donazione Maccariello, registrata negli inventari il 9 aprile del 2013.

L'opera in esame è inedita.

Mattia Giancarli

Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025

Buono.

Il dipinto è entrato a far parte della collezione del Museo di Palazzo Venezia con la donazione Maccariello, registrata negli inventari il 9 aprile 2013.

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