Giuditta con la testa di Oloferne e la fantesca
Ambito bresciano 1510-1520
Il dipinto, riconducibile all'ambito bresciano della prima metà del Cinquecento, raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro.
Il dipinto, riconducibile all'ambito bresciano della prima metà del Cinquecento, raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
Il dipinto raffigura Giuditta trionfante mentre appoggia la testa decapitata di Oloferne su di un ripiano davanti a sé, ormai rigato dal sangue dell’uomo. L’eroina biblica, riccamente agghindata con un corpetto damascato, con orecchini e un filo di perle annodato tra i capelli, regge in mano la spada ancora insanguinata e si volta di scatto verso la fantesca Abra. Questa le sta reggendo il pesante drappo verde della tenda come per invitarla a uscire dall’alloggio del generale assiro.
Acquisito come opera della scuola del Pordenone, il quadro non presenta alcuna affinità con la produzione di Giovanni Antonio de’ Sacchis e, oltre a non richiamare esplicitamente alcun modello autografo dell’artista, non presenta neppure alcun legame facilmente correlabile con il suo stile pittorico. La condotta dura e la composizione piatta, infatti, male si coniugano con l’interesse del maestro friulano per la materia ricca e fusa di Tiziano e Palma il Vecchio.
Come mi suggerisce Marco Tanzi, i profili e i panneggi affilati, insieme a una pittura più asciutta e trattenuta, farebbero pensare alla Giuditta come a un prodotto del complesso clima artistico bresciano dei primi anni dieci, quando in città lavorano gomito a gomito Altobello Melone e Girolamo Romanino e attorno ai due gravitavano il giovane Moretto e i più modesti Francesco Prata e il Maestro di Nave. Nessuno di questi nomi, tuttavia, pare addirsi al dipinto di Palazzo Venezia che, meno brillante nel disegno e negli impasti cromatici, è opera di un artista assai più modesto. Ammettendo l’importante scarto qualitativo, però, confronti interessanti possono essere fatti con opere spesso dibattute tra Altobello e Romanino come la Madonna con il Bambino e san Giovannino tra i santi Valentino e Maurizio della chiesa di San Valentino a Breno (1508 circa), possibile fonte di ispirazione per i panneggi inamidati, o il ritratto di Virginio Orsini (1509), proveniente dal palazzo della famiglia a Ghedi, ora staccato e conservato presso la Fondazione Ugo Da Como a Lonato. Efficace, infine, è il confronto suggeritomi da Tanzi con il Compianto su Cristo morto datato 1510, realizzato per la cappella della Passione della chiesa di San Lorenzo a Brescia e ora nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e in particolar modo con il taglio del volto della pia donna all’estrema sinistra della composizione.
Come mi indicano Vittoria Romani e Francesco Frangi, se lo stile della Giuditta rimanda a Brescia, la sua invenzione compositiva e lo sfarzo della protagonista sembrano innestarsi nella tradizione veneziana delle mezze figure di eroine bibliche. È lecito supporre, quindi, che il dipinto di Palazzo Venezia sia una copia antica da un modello di ambito lagunare forse perduto o non ancora identificato.
Il dipinto si trova in buone condizioni ed è entrato a far parte della collezione del Museo di Palazzo Venezia con la donazione Maccariello, registrata negli inventari il 9 aprile del 2013.
L'opera in esame è inedita.
Mattia Giancarli
Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025
Stato di conservazione
Buono.
Provenienza
Il dipinto è entrato a far parte della collezione del Museo di Palazzo Venezia con la donazione Maccariello, registrata negli inventari il 9 aprile 2013.