Ercole e il leone di Nemea
Ambito toscano Secondo quarto del XVI secolo
Il frammentario gruppo fittile, databile al pieno Cinquecento, raffigura Ercole che sconfigge il leone di Nemea, la prima delle sue dodici fatiche. Nel Settecento, l’opera faceva parte della vasta raccolta di modelli assemblata dallo scultore e restauratore romano Bartolomeo Cavaceppi; in seguito, appartenne ai Torlonia e poi al tenore Evan Gorga. Gli inventari dei secoli XVIII e XIX riportano attribuzioni a Baccio Bandinelli e, dubitativamente, a Michelangelo. Nessuno dei due riferimenti può essere accettato oggi, per quanto l’opera sia riconducibile all’ambito toscano.
Il frammentario gruppo fittile, databile al pieno Cinquecento, raffigura Ercole che sconfigge il leone di Nemea, la prima delle sue dodici fatiche. Nel Settecento, l’opera faceva parte della vasta raccolta di modelli assemblata dallo scultore e restauratore romano Bartolomeo Cavaceppi; in seguito, appartenne ai Torlonia e poi al tenore Evan Gorga. Gli inventari dei secoli XVIII e XIX riportano attribuzioni a Baccio Bandinelli e, dubitativamente, a Michelangelo. Nessuno dei due riferimenti può essere accettato oggi, per quanto l’opera sia riconducibile all’ambito toscano.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
Ercole, stante, coi muscoli gonfi fino a scoppiare, il volto terribile, è impegnato nella prima delle sue dodici fatiche; anzi, è proprio sul punto di avere la meglio sul leone di Nemea: ficca le mani nelle fauci della bestia, cui sta per rompere le mascelle. Il leone prova a sottrarsi alla presa: inarca la schiena, cerca di tenere il semidio a distanza puntandogli le zampe anteriori sulla gamba destra e sul braccio sinistro, ma è prossimo a soccombere.
Questo gruppo in terracotta versa in uno stato conservativo talmente frammentario da comprometterne la leggibilità. La base è del tutto persa e resta solo un pezzo d’un tronco d’albero secco, che da un punto di vista statico serviva a stabilizzare la figura del protagonista. Ercole ha perduto la gamba destra da sopra il ginocchio e la gamba sinistra dal ginocchio in giù. Il braccio destro è interamente caduto, tanto che dal pettorale, presso il moncone, affiora il metallo dell’armatura che il plasticatore aveva allestito per modellare la figura (un pezzo di ferro spunta anche dalla schiena del leone). La mano sinistra, che afferra la mandibola dell’animale, ha perso tutte le dita; la testa ha perso la calotta cranica ed è spaccata di traverso da parte a parte all’altezza delle tempie. Anche il leone è molto danneggiato: le zampe posteriori sono quasi del tutto cadute, così come la parte terminale della zampa anteriore sinistra. Le lacune sfigurano il muso, al punto da rendere visibile l’interno cavo del felino. Oltre a questi danni, varie sbreccature affliggono la superficie di tutta la terracotta e due crepe, visibili da tergo, attraversano la nuca di Ercole e il corpo della belva, subito al di sotto della zampa anteriore destra. Qui, ma anche nel punto in cui la criniera preme contro il bacino del semidio e sul moncherino della coda leonina, si notano i segni di un intervento di restauro, effettuato con materiale plastico.
Questo gruppo fittile faceva parte della raccolta di modelli che Bartolomeo Cavaceppi assemblò nel suo studio di via del Babuino a Roma. Un inventario delle terrecotte fu redatto intorno al 1776, quando Cavaceppi era ancora nel pieno della sua attività. Il nostro Ercole che uccide il leone veniva registrato nel portico della casa, con una precisa indicazione attributiva: “opera di Baccio Bandinelli” (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 223, nr. 5). Nell’inventario post mortem di Cavaceppi, compilato tra il 1799 e il 1800, si specificava che il “modello” era già “frammentato” ed era “alto palmi 3” (circa 67 cm: misura tutto sommato compatibile con questa terracotta). Già in questa occasione cadeva l’attribuzione a Bandinelli: l’estensore scriveva che il gruppo era “creduto di Michelangelo” (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 236 nr. 170). Nel 1802, Vincenzo Pacetti fu incaricato di produrre un ulteriore inventario, nell’ambito dell’acquisizione della raccolta già Cavaceppi da parte della società formata da Pacetti medesimo, da Giuseppe Valadier e dal marchese Giovanni Torlonia. All’opera, non accompagnata da attribuzione alcuna, veniva assegnato il numero progressivo 172 (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 283 nr. 172): la cifra, riportata a lapis, è ancora leggibile presso la zampa posteriore sinistra dell’animale. Il gruppo fittile ha quindi condiviso il destino del nucleo più cospicuo dei modelli già Cavaceppi, passando dalla Collezione Torlonia a quella del tenore Evan Gorga, per poi approdare al Museo Nazionale di Palazzo Venezia nel 1949.
Da questi documenti si ricava che lo stato conservativo della scultura era già compromesso alla fine del XVIII secolo. Inoltre, si può inferire che questo Ercole e il leone faceva pendant con un Ercole e Anteo (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 283, nr. 173), anch’esso attribuito prima a Bandinelli (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 223, nr. 5) e poi alla “scuola di Michelangelo” (Gasparri, Ghiandoni 1993, p. 235, nr. 143). L’identificazione dell’Ercole e Anteo tra le terrecotte confluite a Palazzo Venezia è però problematica (Casparri 1994, pp. 17-18, 29, nota 90, lo ha riconosciuto nella scultura inv. 13394, che però ha dimensioni troppo piccole (38 x 24 x 18 cm), e inoltre raffigura una scena di ratto avente per protagonista un personaggio maschile e uno certamente femminile). Non sembra possibile, quindi, ricongiungere la coppia attestata dagli inventari dei secoli XVIII e XIX.
Più di recente, Cristiano Giometti (2011) è tornato sull’attribuzione a Bandinelli, prendendola in considerazione come meramente tradizionale. Lo studioso ha inoltre ventilato un’ipotesi alternativa per ambito e cronologia, in base al confronto con la terracotta di identico soggetto modellata da Stefano Maderno, oggi alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia, siglata e datata 1621 (inv. Sc. 79). Non credo però che la fattura della nostra opera possa collocarsi nella Roma della prima metà del XVII secolo. Lo stile depone in favore di un’esecuzione al secondo quarto del Cinquecento in ambito toscano. Lo stato conservativo, tuttavia, non consente per ora di formulare un’attribuzione più precisa.
Luca Siracusano
Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025
Stato di conservazione
Mediocre.
Iscrizioni
A matita, sulla zampa posteriore sinistra del leone: «172».
Provenienza
Collezione Bartolomeo Cavaceppi, 1776-1799;
Roma, Collezione Giovanni Torlonia, 1802;
Roma, Collezione Evan Gorga, 1948;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1949.
Bibliografia
Gasparri Carlo, Ghiandoni Olivia, Lo studio Cavaceppi e le collezioni Torlonia, Roma 1994, («Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», ser. III, XVI, 1993), pp. 223 nr. 5, 236, nr. 170, 283, nr. 173;
Gasparri Carlo, L’eredità Cavaceppi e le sculture Torlonia, in Carlo Gasparri, Olivia Ghiandoni, Lo studio Cavaceppi e le collezioni Torlonia, Roma 1994, («Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», ser. III, XVI, 1993), pp. 1-56, nota 90;
Barberini Maria Giulia, I bozzetti ed i modelli dei secoli XVI-XVIII della collezione di Bartolomeo Cavaceppi, in Maria Giulia Barberini, Carlo Gasparri (a cura di), Bartolomeo Cavaceppi scultore romano (1717-1799), Roma 1994, pp. 115-116, 117-118, cat. 3;
Giometti Cristiano, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. IV. Sculture in terracotta, Roma 2011, pp. 24, 36-37, cat. 9.