Crocifissione tra san Domenico, san Tommaso d’Aquino, la Vergine, santa Maria Maddalena, san Girolamo, san Giovanni, san Pietro martire, sant’Antonio abate (reg. sup.); Presentazione di Gesù al Tempio tra i santi Cosma e Damiano (reg. inf.)
Francesco d’Antonio? Secondo quarto del XV secolo
La tavola è divisa in due registri nei quali sono raffigurati episodi della vita di Cristo con santi: in alto la Crocifissione e in basso la Presentazione al Tempio. Le piccole figure campeggiano sul fondo scuro con i loro panneggi colorati e con le loro aureole dorate intorno a volti ben caratterizzati. Questo dipinto così peculiare, nel quale si osservano caratteri sia arcaici sia moderni, proviene dal contesto fiorentino della prima metà del Quattrocento, ed è stato ipotizzato che l’autore possa essere Francesco d’Antonio.
La tavola è divisa in due registri nei quali sono raffigurati episodi della vita di Cristo con santi: in alto la Crocifissione e in basso la Presentazione al Tempio. Le piccole figure campeggiano sul fondo scuro con i loro panneggi colorati e con le loro aureole dorate intorno a volti ben caratterizzati. Questo dipinto così peculiare, nel quale si osservano caratteri sia arcaici sia moderni, proviene dal contesto fiorentino della prima metà del Quattrocento, ed è stato ipotizzato che l’autore possa essere Francesco d’Antonio.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
La piccola tavola si compone di due registri sovrapposti nei quali sono raffigurati su uno sfondo scuro una Crocifissione con santi e una Presentazione al tempio tra i santi Cosma e Damiano. Nella porzione inferiore la Vergine è raffigurata in ginocchio secondo una iconografia della Presentazione meno consueta, che descrive il momento in cui Simeone restituisce il Bambino alla madre (Réau 1957, II, p. 263).
L’opera proviene dalla Collezione Sterbini, dove era ritenuta di scuola emiliana, e giunse al Museo Nazionale di Palazzo Venezia attraverso la donazione Armenise nel 1940. Fu Roberto Longhi a ricondurre la tavoletta alla scuola fiorentina tra gli anni venti e trenta del Quattrocento ravvisandovi contatti con Bicci di Lorenzo e Beato Angelico ma in tono più popolare (Santangelo 1947, p. 37). Federico Zeri, nel successivo catalogo dei dipinti del museo, convenne con Longhi sulla provenienza geografica dell’autore e sulla datazione (Zeri 1955, p. 9, n. 139). Nessuno dei due studiosi fu però in grado di associare un nome al dipinto, che rimase rubricato come "anonimo fiorentino".
Angelo Tartuferi ha attribuito l’opera alla tarda attività di Francesco d’Antonio (1393/1394-post 24 marzo 1433), sulla base del confronto con la tavola del pittore conservata al Montgomery Museum of Fine Arts (Longhi 1940, p. 187, nota 24; De Marchi 1998, pp. 411, 424, nota 83), che presenta analoghe storie suddivise in registri sovrapposti, e con la più antica Crocifissione ad affresco della chiesa di San Francesco a Figline Valdarno (Tartuferi 2012, pp. 18-19, 53, n. 27). Il dipinto di Palazzo Venezia presenta in effetti molte affinità compositive con la tavola di Montgomery, ad esempio nelle figure di alcuni santi, nelle fenditure raffigurate sul limite estremo del terreno nel registro superiore e nella sistemazione paratattica dei personaggi. Tuttavia vi sono anche alcune differenze stilistiche. I delicati passaggi cromatici, i panneggi sinuosi, gli animati atteggiamenti delle figure e il fondo oro che conferiscono all’opera americana un aspetto prezioso, sono sostituiti nel dipinto di Palazzo Venezia da figure più statiche e disegnate, scontornate da una sottile pennellata scura sui volti e da un pigmento colorato sulle vesti, e posizionate contro un fondo nero, che forse in origine poteva essere blu. I trapassi di luce e ombra avvengono qui attraverso la giustapposizione di diversi toni cromatici e di lumeggiature bianche che lasciano visibili i segni del pennello e creano panneggi pesanti, lineari e dai netti contrasti, senza indulgere negli eleganti e flessuosi svolazzi tipici del gotico internazionale. L'acceso pietismo del Cristo crocifisso sembra rimandare a modelli nordici. L’aspetto arcaico dell’opera è inoltre accentuato dalla mancanza di profondità e ambientazione, dai volti molto caratterizzati dei personaggi e dall'uso di aureole dorate contornate da perle, che sembrano richiamare modelli della pittura bizantina (Hélou 2006, p. 56, nota 31).
Francesca Mari
Stato di conservazione
Discreto. Sul verso del dipinto rimangono tracce di un pigmento parzialmente abraso ed è presente una parchettatura formata da due traverse metalliche, probabilmente in alluminio, sostenute da gattelli di legno. Vi sono inoltre molti tasselli lignei di reintegrazione che sembrano svolgere due funzioni differenti: alcuni di essi hanno lo scopo di sanare delle fenditure verticali poi stuccate e reintegrate sul recto; altri sulla zona perimetrale e nella fascia centrale sono forse stati apposti al fine di uniformare il verso della tavola su un unico livello.
Stemmi emblemi e marchi
Sul verso un bollo rosso in ceralacca parzialmente consunto.
Provenienza
Roma, Collezione Giulio Sterbini;
Roma, Collezione famiglia Lupi, post 1911;
Roma, Collezione Giulio Armenise, 1940;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, dal 1940.
Bibliografia
Longhi Roberto, Fatti di Masolino e di Masaccio, in «Critica d’Arte», 25/36, 1940, pp. 145-191;
Santangelo Antonino (a cura di), Museo di Palazzo Venezia. Catalogo. 1. Dipinti, Roma 1947, p. 37;
Zeri Federico (a cura di), Catalogo del Gabinetto Fotografico Nazionale. 3. I dipinti del Museo di Palazzo Venezia in Roma, Roma 1955, p. 9, n. 139;
Réau Louis, Iconographie de l’art chrétien, II, Paris 1957;
De Marchi Andrea, Pittori gotici a Lucca: indizi di un’identità complessa, in Filieri Maria Teresa (a cura di), Sumptuosa tabula picta, catalogo della mostra (Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi, 28 marzo-5 luglio 1998), Livorno 1998, pp. 400-425;
Hélou Nada, À propos d’une école syro-libanaise d’icônes au XIIIe siècle, in «Eastern Christian art», 3, 2006, pp. 53-72;
Tartuferi Angelo, Francesco d’Antonio a Figline Valdarno (e altrove), Figline Valdarno 2012, pp. 18-19, 53, n. 27.