Cristo morto con la Vergine e Nicodemo

Jacob Cornelisz Cobaert 1585-1615

Il gruppo è ricavato da due zanne di elefante e rappresenta il corpo morto di Cristo sostenuto da Nicodemo, in procinto di essere deposto sulle ginocchia della Vergine. L’attribuzione a Jacob Cornelisz Cobaert poggia su somiglianze grafiche, plastiche ed espressive con l’arte di Guglielmo Della Porta, di cui Cobaert fu allievo. La presenza originaria di una croce in ebano, oggi perduta, colloca l’opera nel genere delle rappresentazioni della Passione di piccolo formato con materiali preziosi e figure dalle forme tormentate, nel quale l’artista fiammingo si rese celebre in ambito romano.

Il gruppo è ricavato da due zanne di elefante e rappresenta il corpo morto di Cristo sostenuto da Nicodemo, in procinto di essere deposto sulle ginocchia della Vergine. L’attribuzione a Jacob Cornelisz Cobaert poggia su somiglianze grafiche, plastiche ed espressive con l’arte di Guglielmo Della Porta, di cui Cobaert fu allievo. La presenza originaria di una croce in ebano, oggi perduta, colloca l’opera nel genere delle rappresentazioni della Passione di piccolo formato con materiali preziosi e figure dalle forme tormentate, nel quale l’artista fiammingo si rese celebre in ambito romano.

Dettagli dell’opera

Denominazione: Cristo morto con la Vergine e Nicodemo Autore: Jacob Cornelisz Cobaert Data oggetto: 1585-1615 Materiale: Avorio Dimensioni: altezza 34 cm; larghezza 19 cm
Tipologia: Avori Numero inventario principale: 13185

Il gruppo è ricavato da due zanne di elefante congiunte da tre perni di legno. Nell’una è raffigurata la Vergine seduta che tende le braccia verso il figlio, nell’altra è raffigurato il Cristo morto sostenuto da Nicodemo. La divisione delle figure non corrisponde a quella delle zanne perché la gamba sinistra della Vergine si estende sull’altro blocco, in modo da predisporre la posa del corpo del Cristo adagiato sulle ginocchia, così da formare la tipologia compositiva e devozionale della Pietà. Varie integrazioni completano il gruppo, come il braccio destro della Madonna, quello destro inerte di Cristo o il  suo piede sinistro che fuoriesce curiosamente dal formato cilindrico della zanna, rimasta allo stato naturale nella parte posteriore. Ciò nonostante, nella visione frontale viene raggiunta l’illusione di una scultura ricavata da un unico blocco,  accrescendo così il virtuosismo di una composizione giocata su incastri e profondi incavi.
L’opera è stata attribuita da Maria Giulia Barberini al fiammingo Jacob Cornelisz Cobaert (circa 1530-1615) sulla base di somiglianze con i disegni di Guglielmo Della Porta (Gramberg 1964, nn. 74, 75, 77-79, 85, 86, 172, 175, 176, 179), di cui Cobaert fu allievo, e sulla base dell'informazione, fornita da Giovanni Baglione (Baglione [1642] 2023, I, p. 286), che il fiammingo lavorasse “alcune cose in avorio“ e che “in far piccolo era eccellente“. I panneggi a forti recessi d’ombra che formano una macchia stellare sul manto della Vergine sono paragonabili a quelli del San Matteo in marmo scolpito da Cobaert per la cappella di Matthieu Cointrel (Matteo Contarelli) a San Luigi dei Francesi e ora esposto nella chiesa della Trinità dei Pellegrini (Barberini 1989, p. 20; White 2005, pp. 53-56, figg. 2, 4, 8, 10). Considerando da una parte che Cointrel affidò a Cobaert ingenti commissioni per San Luigi di cui era titolare (un ciclo di Evangelisti di proporzioni colossali, un Calvario per l’altar maggiore e varie statue per la facciata; Nicolai 2012, pp. 62-64, 76-78, n. 2), e che i Patrizi, donatori dell’opera al Museo di Palazzo Venezia nel 1987, vivevano nei pressi di San Luigi, è stato supposto che il gruppo appartenesse ab antiquo alla nobile famiglia (Barberini 1989, p. 20; Petrocchi 2016, p. 25). L’opera sarebbe allora da identificare con il “gruppo d’avorio e il Crocifisso“ citato nella camera da letto del marchese Francesco Patrizi nel 1770 (Barberini 1989, p. 24, nota 7). Tracce di acido pirogallico attestano un contatto dell’avorio con l’ebano (Barberini 1989, p. 23) e confermano la presenza di una croce, in modo da illustrare un episodio della Passione in linea con altre rappresentazioni a uso domestico, come il magnifico Calvario con figure in bronzo dorato di Cobaert conservato nello stesso museo (inv. 13475, Cannata 2011, pp. 142-154, n. 170). Il braccio destro della Vergine, che appare di colore più chiaro, potrebbe essere un pezzo di sostituzione (Petrocchi 2016, p. 25), risalente all’epoca di Francesco Patrizi, in quanto le dita affusolate e i polpastrelli a spatola– ben diversi dalle falange squadrate di timbro michelangelesco visibili nelle mani del Cristo – sono coerenti con un intervento di tardo Settecento. L’opera potrebbe essere posteriore alla morte di Matthieu Cointrel (1585) che pone fine a un rapporto di committenza esclusivo tra Cobaert e il prelato francese (Nicolai 2016, p. 78). È difficile dire se il fiammingo abbia inventato ex novo la composizione o se abbia seguito un modello di Guglielmo Della Porta. 
Anche nel Crocifisso d’avorio del monastero di Santa Clara di Medina de Pomar (Burgos), già posseduto da Pio V, che è stato ricondotto a Cobaert  (Extermann 2019, pp. 18-21), lo scultore fiammingo si rivela capace di tradurre con esattezza le opere di Della Porta. I due Cristi eburnei condividono l’inclinazione della testa, la linea regolare del naso, la fronte ampia e la capigliatura a larghe onde, mentre il Cristo romano è accomunato ad altri Crocifissi di Guglielmo anche dal perizoma legato da un nastro che lascia scoperto il fianco destro (Extermann 2019, pp. 24-26). Oltre alla lezione di Della Porta, anche le ultime Pietà di Michelangelo allora visibili a Roma, la Pietà Bandini e la Rondanini (oggi rispettivamente a Firenze, Museo dell'Opera del Duomo e a Milano, Musei Civici del Castello Sforzesco)  possono aver ispirato una composizione che insiste tanto sulla presentazione frontale del corpo morto di Cristo (Petrocchi 2016, p. 25; sulle Pietà di Michelangelo vedi da ultimo Jatta, Risaliti, Salsi, Verdon 2022). Le proporzioni allungate e irreali delle figure nonché il tono visionario e persino spettrale della composizione possono essere avvicinati inoltre alla corrente pittorica di fine secolo, definita “mistica ed irrazionale“ da Federico Zeri (1957, pp. 46-52), con pittori della tempra di Giovanni De Vecchi, Anthonie Blocklandt e Domenico Theotokopoulos detto El Greco, personalità questa fortemente condizionata dall’arte di Della Porta al pari di Jacob Cobaert (Extermann 2013, pp. 259-261; Extermann 2019, pp. 21-30).

Grégoire Extermann

Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025

I tre perni di legno che collegano le due zanne sono moderni; il  braccio destro della Vergine potrebbe essere settecentesco; le macchie scure sulla parte posteriore sono dovuto all’acido pirogallico lasciato dall’ebano a contatto con l’avorio (Petrocchi 2016, p. 25; Barberini 1989, p. 23).

Roma, Collezione Patrizi;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1987.

Subiaco, Monastero di San Benedetto Sacro Speco, Il Cristo morto di Jacob Cobaert del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, 23 luglio-19 settembre 2016.

Baglione Giovanni, Le vite de’ pittori scultori et architetti (Roma 1642), Agosti Barbara, Tosini Patrizia (a cura di), 2 voll., Roma 2023;
Zeri Federico, Pittura e controriforma. L’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Torino 1957;
Gramberg Werner, Die Düsseldorfer Skizzenbücher des Guglielmo della Porta, 3 voll., Berlin 1964;
Barberini Maria Giulia, Copé scultore fiammingo ed un avorio di Casa Patrizi, in Calvano, Teresa, Cristofani Mauro (a cura di), Per Carla Guglielmi. Scritti di allievi, Roma 1989, pp. 17-25;
White, Valentina, Qualche notazione sull’attività romana di Cope, scultore fiammingo, in Gozzano Natalia, Tosini Patrizia (a cura di), La cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Arte e committenza nella Roma di Caravaggio, Roma 2005, pp. 49-65;
Cannata, in Pietro Cannata, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. Sculture in bronzo, vol. III, Roma 2011, pp. 142-154, n. 170;
Nicolai Fausto, La committenza Contarelli per San Luigi dei Francesi. Nuovi documenti sulla cappella di San Matteo e sulla fabbrica della chiesa, in «Paragone», 63, 2012, pp. 60-78;
Extermann Grégoire, Copies anonymes et copies volées: La diffusion des modèles de Guglielmo Della Porta (1510-1577) à Rome et en Europe, in Arias Martínez Manuel, Gil Carazo Ana, Copia e invención. Modelos, réplicas, series y citas en la escultura europea, Atti del convegno (Valladolid, 14-16 febbraio 2013), Valladolid 2013, pp. 247-268;
Petrocchi Stefano (a cura di), Il Cristo morto di Jacob Cobaert del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, catalogo della mostra (Subiaco, Monastero di San Benedetto Sacro Speco, 23 luglio-19 settembre 2016), Roma 2016;
Petrocchi, in Petrocchi Stefano (a cura di), Il Cristo morto di Jacob Cobaert del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, catalogo della mostra (Subiaco, Monastero di San Benedetto Sacro Speco, 23 luglio-19 settembre 2016), Roma 2016, pp. 23-25;
Extermann Grégoire, El «“Crucificado“ de la catedral de Jaén. Origen y difusión de una obra clave de la Contrarreforma», in Galera Andreu Pedro, Serrano Felipe (a cura di), La Catedral de Jaén a examen, II, Los bienes muebles en el contexto internacional, Jaén 2019, pp. 12-33;
Jatta Barbara, Risaliti Sergio, Salsi Claudio, Verdon Timothy (a cura di), Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa, Milano 2022, pp. 75-96;
Extermann Grégoire, Una creazione a prova dei secoli? I crocifissi di Guglielmo Della Porta, in Extermann Grégoire, Farina Tancredi, Ioele Giovanna, Nocchi Livia (a cura di), Gli scultori a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Circolazione, scambi, modelli, Roma 2024, pp. 55-80.

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