Ciotolina carenata con simboli della Passione
Ambito orvietano Basso Medioevo
Ciotolina carenata e biansata di Maiolica Arcaica, con parete bassa e alto piede; fondino piccolo e piano, smaltata internamente ed esternamente. Al centro della ciotola, tra due linee parallele in bruno atte a definire lo spazio sono stati tracciati alcuni dei simboli della Passione di Cristo: la lancia, la scala, i chiodi, la croce, la corona di spine, la spugna e i flagelli.
Ciotolina carenata e biansata di Maiolica Arcaica, con parete bassa e alto piede; fondino piccolo e piano, smaltata internamente ed esternamente. Al centro della ciotola, tra due linee parallele in bruno atte a definire lo spazio sono stati tracciati alcuni dei simboli della Passione di Cristo: la lancia, la scala, i chiodi, la croce, la corona di spine, la spugna e i flagelli.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
Ciotolina carenata e biansata, smaltata internamente ed esternamente, con parete bassa, alto piede, fondino piccolo e piano. Al centro della ciotola, tra due linee parallele in bruno atte a definire lo spazio sono stati tracciati alcuni dei simboli della Passione di Cristo: la lancia, la scala, i chiodi, la croce, la corona di spine, la spugna e i flagelli. Il reperto fa riferimento alla cosiddetta Maiolica Arcaica. Con tale termine, tratto dalle denominazioni tradizionalmente in uso per definire i periodi dell’antica ceramica attica, adottati da Gaetano Ballardini quando per primo volle dare una classificazione sistematica alla maiolica italiana, si indica oggi una classe di ceramica rivestita da mensa prodotta a partire dalla metà del XIII secolo in Italia centrale e settentrionale la cui caratteristica di base è costituita dalla presenza, sulla superficie principale del vaso, di un rivestimento vetrificato stannifero sul quale sono tracciate le decorazioni pittoriche in verde ramina e bruno manganese, mentre la superficie secondaria è semplicemente ricoperta da una vetrina piombifera. Le forme afferenti alla Maiolica Arcaica si dividono tra aperte e chiuse e si caratterizzano per numerose varianti e sotto-varianti spesso afferenti a determinate aree come il boccale a pellicano tipico di quella umbro-laziale. Poiché la classe presenta un excursus cronologico piuttosto ampio risulta a oggi ancora complesso stabilire un quadro accettabile delle sue evoluzioni, ma nell’Italia centrale l’area di diffusione di questa nuova classe – che per tecnica e prodotto finale era tesa a superare le precedenti produzioni da mensa quali l’Invetriata Verde, la Dipinta sotto Vetrina e la Ceramica Laziale – sembrerebbe essere stata la città di Pisa. In linea generale è possibile osservare una “fase iniziale” (1200-1250), relativa esclusivamente all’utilizzo dei bacini in Maiolica Attica per le decorazioni architettoniche; una “fase sviluppata”, collocabile tra il tra il 1250 e il 1350 quando la Maiolica Attica, prodotta come ceramica da mensa, compare nella maggior parte dei contesti archeologici con un’incidenza decisamente rilevante; una terza, “fase tarda”, che si sviluppa a partire dal 1350 e giunge sino alla prima metà del XV secolo, durante la quale, sia a livello morfologico che decorativo si registrano una serie di elaborazioni interne che in alcuni casi daranno come esito le successive classi rinascimentali. All’interno di questa grande classe è possibile osservare delle produzioni distinte su base pressoché regionale. La produzione umbra, cui il manufatto in questione fa riferimento, viene usualmente associata a quella alto laziale la quale sembrerebbe essere di fatto fortemente influenzata dalla prima.
La decorazione individuata sull’esemplare analizzato appare piuttosto frequente in area alto laziale sempre associata a ciotoline carenate e biansate di Maiolica Arcaica ma caratterizzata da piccole variazioni riguardanti la resa grafica o il numero degli oggetti rappresentati. In relazione al primo aspetto è ad esempio possibile osservare come la corona di spine, posta sempre all’incrocio dei bracci della croce, possa essere resa tramite un elemento circolare attraversato da tratti trasversali o come un semplice elemento circolare dai contorni ondulati; nel primo caso risulta sempre associata una resa maggiormente realistica anche di tutti gli altri oggetti rappresentati mentre nel secondo, cui corrisponde il reperto in questione, la corona è associata a strumenti raffigurati in maniera maggiormente stilizzata. Un’altra caratteristica interessante riguarda il numero degli oggetti presentati tra i quali non mancano mai i simboli principali quali: la croce dipinta al centro della composizione, la corona di spine e i chiodi all’estremità del braccio orizzontale. Intorno a questi possono essere presentati o meno altri elementi come la colonna della flagellazione, la scala, il martello, l’asta con la spugna che appaiono più frequentemente mentre il flagello, le pinze, la lancia e la pignatta risultano al contrario più rari. Il motivo sembrerebbe comparire in un primo momento a Orvieto, dove viene datato al XIII-XIV secolo per poi migrare verso sud nei centri di Viterbo, Bolsena, Celleno, Tarquinia e Cerveteri dove compare intorno alla metà del XIV secolo. Interessanti appaiono infine delle reinterpretazioni romane del motivo che, poste anch’esse su ciotoline carenate e biansate successive agli esemplari analizzati e databili tra il XIV e il XV secolo, vedono la rappresentazione dei simboli in un caso associata a un san Francesco ritratto nell’atto di pregare e nell’altro sintetizzata nella sola presenza della croce con chiodi, corona di spina e monte Golgota fortemente stilizzati. Le ciotoline carenate e biansate erano principalmente adoperate per bere ma potevano anche contenere salse in cui intingere verdure crude e focacce, frutta cotta o dolcetti. Forme simili con lievi varianti morfologiche si riscontrano sino alla fine del XIV secolo quando lo svilupparsi della carenatura rende maggiormente agevole la presa del contenitore con le mani rendendo inutili le anse che quindi scompaiono.
Beatrice Brancazi
Stato di conservazione
Mediocre. Il reperto è stato sottoposto a due differenti restauri finalizzati alla ricostruzione e all'integrazione delle parti mancanti.
Restauri e analisi
Il reperto risulta caratterizzato da numerose lacune integrate con due differenti restauri. Il primo, probabilmente databile al 1994, sembrerebbe essere maggiormente mimetico mentre il secondo, probabilmente databile al 1998, risulta più evidente.
Provenienza
Il reperto appartiene alla collezione di Giulio Del Pelo Pardi che nel 1950 la donò, corredata da un catalogo dattiloscritto redatto da Pericle Perali, al Museo di Palazzo Venezia dove se ne persero presto le tracce; negli anni novanta del Novecento, nel corso di una ricognizione volta al recupero e al censimento dei materiali del magazzino del museo, la collezione venne recuperata e ipotizzata come tale.
Esposizioni
Orvieto, Museo della Tradizione Ceramica, Palazzo Simoncelli, Oltre il frammento, 18 dicembre 1999-23 gennaio 2000;
Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, Oltre il frammento, 20 maggio 2000-30 settembre 2000;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Oltre il frammento, 25 ottobre 2001-31 gennaio 2002.
Bibliografia
Mazza Guido, La ceramica medioevale di Viterbo e dell’Alto Lazio, Viterbo 1983, p. 80, fig. 99;
Sconci Maria Selene, Oltre il frammento: forme e decori della maiolica medievale orvietana. Il recupero della collezione Del Pelo Pardi, Roma 2000, p. 156, fig. 115; p. 157, fig. 116; p. 155, fig. 114;
Tamburini Pietro, Un museo e il suo territorio. Il museo territoriale del lago di Bolsena. 2. Dal periodo romano all’era moderna, Bolsena 2001, p. 93, fig. 103a;
Casocavallo Beatrice, Le ceramiche rivestite bassomedievali, in Quaranta Paola, Casocavallo Beatrice (a cura di), La tavola imbandita. Ceramiche ceretane tra medioevo e rinascimento, catalogo della mostra (Tarquinia, Palazzo Comunale, Sala del Monte di Pietà, 8-30 novembre 2013), Acquapendente 2013, p. 21, fig. 15;
Brancazi Beatrice, Miele Flora, Contenitori e simboli: i motivi religiosi delle ceramiche rivestite alto laziali, in «NUME», IV Ciclo di Studi medievali, 2018, pp. 357-359;
Piermartini, in Luzi Romualdo, Romagnoli Giuseppe (a cura di), Le maioliche medievali dal butto di Celleno Vecchio, catalogo della mostra (Viterbo, Museo della Ceramica della Tuscia, 18 maggio-14 luglio 2019), Viterbo 2019 p. 47, fig. 15;
Brancazi Beatrice, Nascoste in piena vista. I molteplici legami tra la scrittura e la ceramica bassomedievale, in Campus Alessandro, Marchesini Simona, Poccetti Paolo (a cura di), Scritture nascoste, scritture invisibili. Quando il medium non fa “passare” il messaggio. Miscellanea internazionale multidisciplinare, Verona 2020.