Cinque amorini suonano e giocano con una maschera

Cristoforo di Geremia 1465-1471

In mostra presso Palazzo Venezia

Questo rilievo in terracotta raffigura una scena di gioco tra amorini che suonano e altri che indossano maschere per spaventarsi a vicenda; fu ritrovato nelle fondamenta di Palazzo Venezia, adoperato, a metà del Quattrocento, come oggetto di fondazione durante i lavori di costruzione dell’edificio. Si tratta di una matrice per placchette metalliche e fu modellata dall’orafo e incisore mantovano Cristoforo di Geremia, artista di corte di papa Paolo II Barbo.

Questo rilievo in terracotta raffigura una scena di gioco tra amorini che suonano e altri che indossano maschere per spaventarsi a vicenda; fu ritrovato nelle fondamenta di Palazzo Venezia, adoperato, a metà del Quattrocento, come oggetto di fondazione durante i lavori di costruzione dell’edificio. Si tratta di una matrice per placchette metalliche e fu modellata dall’orafo e incisore mantovano Cristoforo di Geremia, artista di corte di papa Paolo II Barbo.

Dettagli dell’opera

Denominazione: Cinque amorini suonano e giocano con una maschera Autore: Cristoforo di Geremia Data oggetto: 1465-1471 Materiale: Terracotta Tecnica: Scultura Dimensioni: altezza 4,5 cm; larghezza 8,5 cm; spessore 0,8 cm
Tipologia: Sculture Luogo: Palazzo Venezia Numero inventario principale: 10419

Questa piccola scultura in terracotta fu rinvenuta nel 1876 nelle fondamenta di Palazzo Venezia, dove era stata interrata con un salvadanaio contenente medaglie con l’effige di Paolo II Barbo, secondo una prassi molto diffusa all’epoca, atta a lasciare nelle fondazioni degli edifici oggetti strettamente legati al loro committente, che ne potessero trasmettere la memoria (Weiss 1958, pp. 69-81; Balbi De Caro 1973). La terracotta era collocata entro il muro nord del palazzo, concluso prima della morte del pontefice nel luglio 1471 (Lanciani 1902, ed. 1989, pp. 68-69) e questa datazione è quindi da adottare come terminus ante quem per la scultura.
Assieme a un altro raffigurante una scena cavalleresca (inv. 10418), ritrovato nella medesima occasione, questo rilievo fu trasferito dagli austriaci prima nel Castello di Ambras, presso Innsbruck, poi a Vienna all’Hofmuseum e, solo nel 1923, fu restituito allo Stato italiano e alle collezioni di Palazzo Venezia a cui apparteneva (Modigliani 1923, p. 68).  
La formella rettangolare raffigura cinque amorini alati intenti in diverse attività. Partendo da sinistra si distinguono un putto che suona uno strumento a fiato, poi un secondo che regge una piccola lira da braccio; il terzo, al centro, si copre il volto con un grande mascherone barbuto, che ha spaventato il quarto putto, seduto a terra sostenuto dal quinto, che gli regge la testa con entrambe le mani. La scena dei putti che giocano con mascheroni è di ispirazione antica e deriva dalla biografia del pittore Zeusi, scritta da Luciano, nella quale si racconta di un suo quadro, perduto, raffigurante una famiglia di centauri affiancata proprio da putti nudi che giocavano con grandi mascheroni, indossandoli per spaventarsi a vicenda, oppure infilandoci le mani per animarli, e questo tema ebbe grande fortuna nel Rinascimento, tradotto in miniatura anche da Gaspare da Padova nella Cronica di Eusebio da Cesarea scritta da Bartolomeo Sanvito a Roma, tra 1486 e 1487 (Cannata 2004, pp. 238-239, n. II.67 ).
La terracotta presenta i putti scolpiti in negativo, in cavo, e questo perché non si tratta di un’opera d’arte autonoma e conclusa, ma di uno stampo per placchette, ovvero una matrice dalla quale trarre repliche in positivo (Rossi 2011, pp. 80-81, n. II.4). Nate proprio nella corte romana di Pietro Barbo, papa dal 1464, per placchette all’antica si intendono tutti quei piccoli rilievi in metallo (generalmente bronzo) che riproducevano meccanicamente gemme antiche incise, oppure invenzioni rinascimentali ispirate a temi classici, come nel caso di questi amorini. Dal negativo in terracotta gli artisti realizzavano positivi in cera, che poi venivano gettati in metallo per ottenerne repliche da utilizzare con differenti funzioni.
Le placchette derivanti dal rilievo furono assegnate alla scuola di Donatello (Molinier 1886, p. 46, n. 79), poi a quella di Andrea Briosco detto il Riccio (Planiscig 1927, p. 312), infine a una generica bottega nord-italiana (Middeldorf-Goetz 1944, p. 32, n. 217), ma il ritrovamento di questa matrice nelle fondamenta di Palazzo Venezia ha permesso di legare l’invenzione al contesto romano degli artisti che lavoravano per Paolo II, definiti per convenzione Officine di San Marco, dal nome del palazzo del cardinale Barbo (Cannata 1982, p. 37, n. 4). Stando a un confronto con le medaglie firmate da Cristoforo di Geremia, artista mantovano legato alla produzione bronzea dedicata al pontefice a partire dal 1465, è possibile attribuirgli anche questo stampo. Le grumose ciocche dei capelli degli amorini e del mascherone, nonché il panneggio del putto più a destra, percorso da pieghe regolari, risultano identici a quelli che caratterizzano la medaglia con Costantino il Grande che Cristoforo firmò attorno al 1468 (Zaccariotto 2020, p. 113, n. 84).
A sostegno di questa ipotesi risulta anche la presenza, al rovescio, di una lettera "G" impressa, probabilmente da interpretare come sigla dell’artista "G[eremia]".
Cristoforo di Geremia, figlio di un orafo, nacque a Mantova attorno al 1410, e si trasferì a Roma nel 1456, prima presso il cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota, poi presso il conterraneo Ludovico Gonzaga. Dal 1465 fu al servizio di papa Paolo II Barbo per il quale non solo realizzò numerose medaglie, firmandone alcune, ma restaurò anche la statua bronzea di Marc’Aurelio, in occasione del soggiorno romano dell’imperatore Federico III nel 1468. Morì a Roma nel 1476 (Pirzio Birolli Stefanelli 1985).

Giulia Zaccariotto

Buono.

Al rovescio sono presenti una lettera «G» incisa e tracce di ceralacca rossa.

Palazzo Venezia, salvadanai di fondazione.

Roma, Catalogo degli oggetti d'arte e di storia restituiti dall'Austria-Ungheria ed esposti nel R. Palazzo Venezia in Roma, Roma 1923;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Rilievi e placchette dal XV al XVIII secolo, Roma 1982;
Atene, National Gallery, Alexandros Soutzos Museum, In the Light of Apollo. Italian Renaissance and Greece, 22 dicembre 2003-31 marzo 2004.

 

Molinier Émile, Les Plaquettes. Catalogue raisonné, Paris 1886.
Modigliani Ettore (a cura di), Catalogo degli oggetti d'arte e di storia restituiti dall'Austria-Ungheria ed esposti nel R. Palazzo Venezia in Roma, Roma 1923, p. 68;
Planiscig Leo, Andrea Riccio, Wien 1927.
Middeldorf Ulrich, Goetz Oswald, Medals and Plaquettes from the Sigmund Morgenroth Collection, Chicago 1944;
Weiss Roberto, Un umanista veneziano. Papa Paolo II, Venezia 1958;
Balbi De Caro Silvana, Di alcune medaglie di Paolo II rinvenute nelle mura del Palazzo di Venezia in Roma, in «Medaglia», III, 1973, 5, pp. 24-34;
Cannata, in Cannata Pietro (a cura di), Rilievi e placchette dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, febbraio-aprile 1982), Roma 1982, pp. 36-39, n. 4;
Pirzio Birolli Stefanelli Lucia, Cristoforo di Geremia, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXI, Roma 1985;
Lanciani Rodolfo, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità (1000-1530), Roma 1989;
Cannata, in Gregori Mina (a cura di), In the Light of Apollo. Italian Renaissance and Greece, catalogo della mostra (Atene, National Gallery, Alexandros Soutzos Museum, 22 dicembre 2003-31 marzo 2004), Cinisello Balsamo 2004, pp. 238-239, n. II.67;
Rossi Francesco, La collezione Mario Scaglia. Placchette, Bergamo 2011;
Zaccariotto Giulia, La collezione di medaglie Mario Scaglia. II. Catalogo, Bologna-Cinisello Balsamo 2020.

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