Busto virile

Bartolomeo Sinibaldi detto Baccio da Montelupo 1506 circa

In mostra presso Palazzo Venezia

Il busto virile in terracotta policroma è stato per lungo tempo considerato un Cristo redentore, ma oggi appare meglio identificabile in un giovane santo o martire. Inizialmente  attribuito a Matteo Civitali, nel corso dei decenni si è consolidato il riferimento a Baccio da Montelupo che lo modellò in contemporanea, o forse contestualmente, al gruppo di sculture eseguite nel 1506 per la badia di San Godenzo (Firenze). 

Il busto virile in terracotta policroma è stato per lungo tempo considerato un Cristo redentore, ma oggi appare meglio identificabile in un giovane santo o martire. Inizialmente  attribuito a Matteo Civitali, nel corso dei decenni si è consolidato il riferimento a Baccio da Montelupo che lo modellò in contemporanea, o forse contestualmente, al gruppo di sculture eseguite nel 1506 per la badia di San Godenzo (Firenze). 

Dettagli dell’opera

Denominazione: Busto virile Autore: Bartolomeo Sinibaldi detto Baccio da Montelupo Data oggetto: 1506 circa Materiale: Terracotta policroma Tecnica: Modellazione Dimensioni: altezza 27 cm; larghezza 26 cm
Tipologia: Sculture Acquisizione: 1919 Luogo: Palazzo Venezia Numero inventario principale: 957

Il busto, proveniente dalla raccolta del fiorentino Carlo Angeli, è confluito nelle collezioni del Museo di Palazzo Venezia nel 1919 con un’attribuzione allo scultore Matteo Civitali, mantenuta ancora nel catalogo di Hermanin del 1948. Antonino Santangelo (1954, p. 68) ne propose un riferimento più circostanziato allo scultore fiorentino Baccio da Montelupo (1469-1535 circa), specialista della plastica in terracotta e della ritrattistica in busto nella Firenze di primo Cinquecento, supportato dalle affinità riscontrate con opere sicure dell’artista, quali il San Sebastiano di San Godenzo (1506) e il Tabernacolo eucaristico di San Lorenzo a Segromigno in Monte (Lucca, 1518), e ipotizzandone una datazione oltre il 1506. John Turner (1997, pp. 176-178) e, più recentemente, Cristiano Giometti (2011, p. 32, cat. 2)  hanno preferito fissarne l’esecuzione alla metà degli anni novanta del Quattrocento per via delle consonanze con le figure del Compianto di San Domenico a Bologna, la prima opera documentata di Montelupo eseguita tra la fine del 1494 e i primi mesi del 1495 per la cappella del Capo di San Domenico nell’omonima chiesa bolognese. Rispetto alle statue felsinee il busto romano, anticamente impreziosito da una suggestiva stesura policroma, oggi in larga parte perduta ma percepibile ancora nella delicata colorazione rosata della bocca e degli zigomi, mostra un più intenso vitalismo soprattutto nella capigliatura gorgheggiante e nella resa epidermica, nitida e realistica come in una maschera funeraria o in un calco dal vivo; caratteristiche che saranno proprie delle opere del primo lustro del Cinquecento, come il San Sebastiano o il Busto di Cristo della Badia di San Godenzo, particolarmente vicine all'opera in esame nei tratti somatici e morfologici del volto, in particolare negli incavi oculari ben scavati e indagati meticolosamente negli effetti chiaroscurali. 
Queste osservazioni permettono di circoscrivere la cronologia dell’opera di Palazzo Venezia alla prima decade del XVI secolo e di accostarla proprio al repertorio di sculture licenziate da Montelupo per la badia godenziana, di cui oltre all’effige del Redentore appena citato facevano parte altri busti di San Giovanni, della Vergine e dei tre martiri Godenzo, Marziano e Luciano, oggi purtroppo perduti. La figura virile di Palazzo Venezia non reca corrispondenze con la tradizionale rappresentazione del Cristo redentore formulata da Verrocchio e diffusa in area fiorentina a cavallo tra Quattro e Cinquecento, caratterizzata da un monumentale taglio a metà busto, dalla tunica abbondante castamente abbottonata e da uno spesso mantello adagiato all’antica su una spalla, con il volto animato dalla tipica barba a fornice e da una folta capigliatura ricciuta fin sulle spalle. Questo personaggio è privo di vesti, attributi o segni del martirio, come la corona di spine o le ferite del serto di rovi, e mostra un volto maturo, limpido e delicato nel trattamento epidermico, messo in risalto dalla fronte ampia e tersa, vivacizzato da un’acconciatura naturalistica più corta e ammassata rispetto alle tradizionali chiome rigogliose di Cristo o di san Giovanni. A suggerire una diversa identificazione è anche la tipologia di busto dal taglio molto alto, fin sopra alle spalle, che ne indicherebbe un’originaria collocazione su un supporto ligneo concepito per accoglierne la porzione basale, tipico dei busti reliquiari o di immagini votive dedicate alla memoria di martiri. In uno scatto d’epoca antecedente il suo ingresso a Palazzo Venezia, il busto era infatti appoggiato su un basamento recante un’iscrizione antica, ma non contestuale, che ne ricordava l’identificazione in “Nicolaus peregrinus“, il giovane pastore eremita di Stiri (Grecia) approdato nell’XI secolo in Puglia e oggi noto come santo protettore della città di Trani. Non possediamo riferimenti iconografici in grado di confermare tale riconoscimento, che potrebbe essere conseguenza di modifiche iconografiche sopraggiunte nel corso dei secoli per particolari esigenze devozionali o liturgiche. Considerando infatti le affinità tipologiche e iconografiche con la serie di busti licenziati da Baccio da Montelupo per San Godenzo, non possiamo escludere che l’opera romana sia nata come una delle teste "al naturale" dei monaci pellegrini Gaudenzio, Marziano o Luciano, poi confluite sul mercato fiorentino in seguito alle soppressioni napoleoniche che a inizio Ottocento spogliarono il patrimonio artistico di quella chiesa del Mugello.

David Lucidi

Scheda pubblicata il 12 Giugno 2025

Discreto. Perdita della policromia.

Firenze, Collezione Carlo Angeli;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1919.

von Fabriczy Cornelius, Sculture in legno di Baccio da Monte­lupo, in «Miscellanea d’arte», IV, 1903, pp. 67-68;
Poggi Giovanni, Opere d’arte ignote o poco note. Un S. Seba­stiano di Baccio da Montelupo nella Badia di S. Goden­zo, in «Rivista d’arte», VI, 1909, pp. 133-135;
Hermanin Federico, Il Palazzo di Venezia, Roma 1948, p. 275;
Santangelo Antonino (a cura di), Museo di Palazzo Venezia. Catalogo del­le sculture, Roma 1954, p. 68;
Bietti Monica, Petrucci Federico (a cura di), L’Abbazia di San Godenzo e il San Sebastiano restau­rato, Firenze 1988;
Franklin David, Rosso in Italy: the Italian Career of Rosso Fiorentino, New Heaven 1994, p. 17;
Turners, in Barocchi Paola (a cura di), Il Giardino di San Marco. Maestri e compagni del gio­vane Michelangelo, catalogo del­la mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 30 giugno-19 ottobre 1992), Cinisello Balsamo 1992, p. 120, cat. 25;
Turner John Douglas, The Sculpture of Baccio da Montelupo, Providence 1997, pp. 176-178, cat. 15B;
Giometti Cristiano, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, vol. IV, Sculture in terracotta, Roma 2011, p. 32, cat. 2;
Lucidi David, Contributi a Baccio da Montelupo scultore in terracotta, in «Nuovi Studi», XVIII, 2013 (2014), 19, pp. 63- 64;
Lucidi David, Baccio da Montelupo, Todi 2022, pp. 102-104, 422-423, cat. 19.

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