Alabarda
Manifattura svizzera 1480-1510
L’alabarda è composta da una lunga asta in legno alla quale è fissata la parte metallica completa di scure, cuspide e dente a becco di falco, dove è impressa la marca della bottega dell’armaiolo, una manifattura svizzera attiva tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento. Diffusa in Europa già dal Trecento, l’alabarda divenne l’arma bianca prediletta dalla fanteria perché versatile e molto efficace nello scontro corpo a corpo sul campo di battaglia.
L’alabarda è composta da una lunga asta in legno alla quale è fissata la parte metallica completa di scure, cuspide e dente a becco di falco, dove è impressa la marca della bottega dell’armaiolo, una manifattura svizzera attiva tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento. Diffusa in Europa già dal Trecento, l’alabarda divenne l’arma bianca prediletta dalla fanteria perché versatile e molto efficace nello scontro corpo a corpo sul campo di battaglia.
Dettagli dell’opera
Scheda di catalogo
L’alabarda si presenta con una scure a taglio dritto, dalla quale sale verso l’alto una lunga cuspide finita a quadrello (ovvero a sezione quadrangolare) e completata, sul lato opposto, da una punta (detta dente o uncino) a becco di falco con la marca dell’armaiolo (di Carpegna 1969, p. 60, n. 353; di Carpegna 1976, p. 60). È realizzata in ferro forgiato fissato a una lunga asta di legno mediante sei chiodi e presenta segni di usura su tutta la parte metallica (graffi, colpi e incisioni profonde).
Questa arma bianca da offesa si diffuse in Europa a partire dal Trecento (il termine tedesco "Helbarta" compare già nel 1315; Geßler 1928, pp. 52-56) per essere poi più massicciamente utilizzata a partire dal Quattrocento, quando le alabarde divennero le armi più adottate dai mercenari svizzeri e dai lanzichenecchi che giunsero in Italia a più riprese (Borgatti 1929). Adoperata dalla fanteria, essa era considerata un’efficacissima arma di attacco perché montata su lunghe aste, che permettevano di mantenere una certa distanza dal nemico, e dotata di tre massicce sporgenze metalliche (scure, cuspide e dente dorsale) che potevano essere utilizzate per disarcionare, arpionare e menare fendenti (Waldman 2005, pp. 17-21).
Questa alabarda presenta in corrispondenza dell’uncino dorsale la marca dell’armaiolo che la forgiò. Sebbene non sia noto a quale bottega appartenga lo scudo con la lettera "T" e le tre palle, è possibile riscontrare l’identica marca in un’alabarda conservata presso il Metropolitan Museum di New York, prima attribuita all’ambito tedesco, poi più correttamente catalogata come opera di manifattura svizzera (inv. 14.25.80; Waldman 2005, pp. 69-75). Le botteghe dei diversi cantoni svizzeri, infine, nei decenni di maggiore diffusione di questo tipo di arma bianca, adottavano forme leggermente differenti per la parte metallica, probabilmente per rendere più agevole il riconoscimento delle truppe sul campo di battaglia (Scalini 2018, p. 125, n. IV.2).
Gli armaioli svizzeri furono tra i migliori produttori di armi già dal Medioevo, ma fu soprattutto nel Rinascimento che le botteghe transalpine forgiarono grandi quantità di armamenti, giunti in Italia attraverso i mercenari svizzeri e i soldati tedeschi. La forma di questa alabarda, semplice, massiccia e con la scure a taglio dritto, è da ricondurre alla produzione svizzera dell’area della città di Solothurn (Soletta) tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento (Oakeshott 1980, pp. 47-48), e la marca sul dente dorsale dell’arma è presente su oggetti affini.
L’arma fa parte della collezione del principe Ladislao Odescalchi (1846-1922), acquistata dallo Stato italiano nel 1959 e collocata a Palazzo Venezia nel 1969. Questa vasta raccolta non era un’armeria di famiglia, ma era frutto di mirati acquisti sul mercato nazionale (Firenze, Roma) e internazionale (Parigi, Londra) a partire dal tardo Ottocento, guidati dal gusto personale di Odescalchi (Barberini 2007).
Alabarde affini sono presenti anche nella collezione di Carl Otto Kretzschmar von Kienbusch, ora al Philadelphia Museum of Art, amico di Odescalchi e suo concorrente negli acquisti sul mercato antiquario (invv. 1977-167-323 e 1977-167-322).
Giulia Zaccariotto
Stato di conservazione
Discreto.
Stemmi emblemi e marchi
Sul dente dorsale, marca dell’armaiolo in forma di scudo con una lettera "T" e tre palle.
Provenienza
Roma, Collezione Ladislao Odescalchi (Odescalchi, n. 469);
acquisita dallo Stato italiano, 1959;
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 1969.
Esposizioni
Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Antiche armi dal sec. IX al XVIII. Già Collezione Odescalchi, maggio-luglio 1969;
Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo; Roma, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, Armi e potere nell’Europa del Rinascimento, 26 luglio-11 novembre 2018.
Bibliografia
Geßler Eduard Achilles, Führer durch die Waffensammlung. SchweitzerischesLandesmuseum, Zürich 1928;
Borgatti Mariano, Alabarda, ad vocem, in Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1929;
di Carpegna Nolfo (a cura di), Antiche armi dal sec. IX al XVIII. Già Collezione Odescalchi, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, maggio-luglio 1969), con schede a firma del curatore, Roma 1969, p. 60, n. 353;
di Carpegna Nolfo, Le armi Odescalchi, Roma 1976;
Waldman John, Hafted Weapons in Medieval and Renaissance Europe: The Evolution of European Staff Weapons between 1200 and 1650, Leiden 2005;
Barberini Maria Giulia, La collezione Odescalchi di armi antiche: storia della raccolta del principe Ladislao, in «Bollettino d’arte», s. VI, XCI, 2006 (2007), 137/138, pp. 101-114;
Fossà Bianca, Studio conservativo delle armi e armature Odescalchi. Nuove metodologie per la schedatura di una collezione, in «Bollettino d’arte», s. VI, XCI, 2006 (2007), 137/138, pp. 115-142;
Oakeshott Ewart, European Weapons and Armour. From the Renaissance to the Industrial Revolution, Woodbridge 2012 (I ed. 1980);
Scalini Mario (a cura di), Armi e potere nell’Europa del Rinascimento, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo; Roma, Museo Nazionale del Palazzo Venezia, 26 luglio-11 novembre 2018), con schede a firma del curatore, Cinisello Balsamo 2018, p. 125, n. IV.2. [con indicazione di inventario Odescalchi e PV errate].