La più importante testimonianza pittorica del cantiere quattrocentesco e un documento fondamentale per ricostruire l’intera storia del Rinascimento romano.
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Il fregio a fresco corre alla sommità delle quattro pareti della settima sala dell’Appartamento Barbo ovvero dell’appartamento privato di Pietro Barbo, divenuto papa Paolo II (1464-1471): si tratta della sala ove venivano conservati paramenti sacri. Il fregio rappresenta quattro fontane con amorini che giocano e otto fatiche di Ercole.
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Partendo dalla parete di fondo ecco Ercole e il leone Nemeo, Ercole e Anteo, Ercole e i buoi di Gerione, Ercole e Gerione, Ercole e il Drago Ladone, Ercole e la cerva di Cerinea, Ercole e gli uccelli di Stinfalo, Ercole e Nesso.
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Gli affreschi furono eseguiti certamente dopo il 1467, dal momento che in quell’anno il soffitto della sala venne innalzato per essere adeguato a quello della adiacente Sala del Mappamondo. L’autore è ancora ignoto. Alcuni lo identificano con il pittore e miniatore fiorentino Giuliano Amadei (1446-1496), documentato al servizio di Paolo II. La maggior parte degli studiosi però riconosce un forte debito verso Andrea Mantegna (1431-1506): su questa base è stato avanzato il nome di Girolamo da Cremona (notizie dal 1460 al 1483), pittore e miniatore attivo soprattutto nell’Italia settentrionale. Di recente, infine, si è suggerito di riferire Le Fatiche di Ercole a uno degli artisti veneti legati a Roma al circolo umanistico di Giulio Pomponio Leto (1428-1498).
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La presenza di un soggetto ispirato alla mitologia classica in una delle stanze private del pontefice non deve stupire: fin dai primi secoli del Cristianesimo la figura di Ercole era stata interpretata in chiave cristologica. Per l’esattezza le sue fatiche erano viste come trionfi della virtù sui vizi e la sua morte una prefigurazione di quella di Cristo.
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Il fregio è stato restaurato nel 2016 grazie ad una erogazione liberale e dotato di una nuova illuminazione che consente di apprezzarlo pienamente.
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